FOTOTECA SIRACUSANA
PHOTOGALLERY - FOTOGRAFIA VINTAGE - BIBLIOTECA TEMATICA - CAMERA OSCURA B&W - DIDATTICA
Vedutismo e fotografia d’atelier raggiunsero in Sicilia, tra il 1860 e il 1900, livelli d’espressione eccellenti grazie ai numerosi fotografi che vennero in Sicilia da tutta l’Europa desiderosi di far fortuna e perché affascinati dalle bellezze di una terra insolita e ammaliante, ricca di antiche vestigia e opere d’arte.
Malgrado la grandezza della sua storia Siracusa non offrì mai un appeal ideale per i viaggiatori del Grand Tour, ma attirò comunque un buon numero di fotografi che ne ritrassero i luoghi della grecità, i suoi scorci di campagna che sembravano richiamare a gran voce l’Arcadia teocritea e i suoi capolavori artistici.
Fototeca Siracusana si offre come sede ideale per presentare questa mostra sulla fotografia a Siracusa, il cui arco temporale va dalla sua nascita fino al primo decennio del Novecento, raccontando la storia della città in chiave storico-documentaria alternando stampe originali alla carta salata, albumine e stereoscopie giunte fino a noi grazie alla maestria dei fotografi che le realizzarono.
I Viaggiatori del Grand Tour
Il viaggio è metafora della vita e l’uomo nasce viaggiatore, svolgendo la sua esistenza in un flusso incessante di esperienze. Con questa sete di vita e di arricchimento personale e spirituale già dal Medioevo fino alla fine del Cinquecento, pellegrini e missionari non esitavano ad affrontare un lungo cammino, spinti dalle ragioni della fede e della scoperta di luoghi sacri, noncuranti degli ostacoli e delle difficoltà, dei briganti e degli animali selvatici.
Il pellegrino trovava in questo tipo di viaggio una fonte di grande nutrimento spirituale, considerandolo come una prova di sofferenza, penitenza ed espiazione, la loro meta tradizionale era Roma, città della fede per eccellenza.
Accanto a questa tipologia di viaggiatori religiosi si affiancarono schiere di cavalieri che ricercavano invece nel viaggio individualistico, sempre irto di dure prove, gloria, fama e onori (Don Chisciotte di Cervantes), mettendo alla prova le proprie qualità fisiche, il coraggio e l’eroismo.
L’Umanesimo, il Rinascimento e la Riforma inaugurarono un nuovo tipo di viaggio rivolto a soddisfare curiosità e bisogno di evasione alla ricerca di una più ampia erudizione, aprendo altri percorsi alla scoperta di nuovi itinerari e città (Firenze, Venezia, Milano, ecc.) che iniziarono a formare in Europa l’immagine di un’Italia fino ad allora sconosciuta.
Si cominciavano a formare le basi di quel modello di viaggio che prese il nome di “Grand Tour”.
L’Italia costituiva una magica attrazione perché, oltre che la terra di Dante, Petrarca, Machiavelli, Michelangelo e Raffaello, era soprattutto un museo a cielo aperto ricco di opere d’arte, monumenti e antiche vestigia.
Ma fu solo che nel XVIII secolo che il Grand Tour in Italia si diffuse sistematicamente, ed è
da allora che il Grand Tour è inteso come il classico viaggio di istruzione che le generazioni dei giovani più promettenti delle classi agiate compivano alla ricerca di tutti quei luoghi che potessero offrire le migliori sollecitazioni culturali per la formazione di una cultura cosmopolita. Benchè gli itinerari e le mete di questi viaggi furono principalmente rivolti ai luoghi classici della storia, dalla Spagna alla Grecia, alla Turchia, al Medio Oriente e, naturalmente, all’Italia, fu questa che divenne poi la meta principale di un modello di viaggio che si diffuse ben presto tra i giovani viaggiatori.
La Sicilia verrà scoperta tardi rispetto agli altri luoghi del Grand Tour, l’Europa finiva a Napoli e nell’immaginario comune dopo c’ era solo l’Africa. In effetti la Sicilia non prometteva niente di buono, le scarse notizie riportate dai pochi viaggiatori che l’avevano attraversata non incoraggiavano l’idea di un viaggio.
Ma fu dopo l’apertura degli scavi di Pompei ed Ercolano e dopo le pubblicazioni di J. Winckelmann (1754) che si diffuse tra la gioventù colta l’idea della “Grecia Classica”, per la “nobile semplice e serena grandezza degli antichi monumenti”.
La Sicilia offriva tutto ciò che poteva attrarre un viaggiatore colto e curioso, vi si mescolavano orrido e mitico, primitivo e pittoresco, oltre a una cultura di grandi tradizioni.
VEDUTISMO FOTOGRAFICO DI FINE OTTOCENTO
Nel XVIII secolo andavano affermandosi nell’arte, come nel pensiero in generale, le teorie illuministe nelle quali confluiva la corrente pittorica del “Vedutismo”, sostenitrice delle visioni oggettive e scientifiche trovandovi il suo ideale espressivo e anticipando la fotografia di quasi un secolo. A caratterizzare questo periodo sono le "vedute" e i paesaggi sia naturali che cittadini, da cui il nome, e tra gli artisti considerati i principali esponenti del vedutismo in Italia troviamo Antonio Canal detto Canaletto (1697-1768), suo nipote Bernardo Bellotto (1721-1780) nonchè Francesco Guardi (1712-1793). A costoro si deve l’uso di camere ottiche, antesignane dei moderni apparecchi fotografici, che permettevano ai pittori di ricalcare il paesaggio esterno proiettato su uno schermo di vetro posto all’interno di una camera oscura che poteva essere una tenda o l’interno della cabina di una portantina.
La fotografia fu scoperta solo nel 1826 a Chalon Sur Saône con le lastre al bitume di Joseph Nicéphore Niépce (Chalon sur Saône,1765–Saint Loup de Varennes,1833) e ufficializzata a Parigi nel 1839 con i dagherrotipi di Louis Jacques Mandé Daguerre (Cormeilles en Parisis,1787 – Bry sur Marne,1851) che si stabilorono ufficialmente le date d’inizio della nuova scoperta che finalmente realizzava il sogno dell’uomo di poter fissare su un supporto la visione della realtà.
Intanto la Sicilia continuava ad essere una frequentata meta del Grand Tour e anche il soggetto delle prime fotografie di un gran numero di pionieri fotografi che ebbero modo di cogliere, secondo lo stile della corrente pittorica vedutista, i paesaggi di quel tempo non ancora contaminati dai segni della civiltà che ben presto ne avrebbe alterato l’aspetto originario.
Nel 1790 Friedrich Münter passando da Siracusa annotava sul suo diario di viaggio quell’impressione che ancora oggi non risparmia di emozionare gli osservatori più sensibili al richiamo delle antiche pietre:
[…] E chi non conosce gli Idilj di Teocrito, queste fedeli copie della bella siciliana natura, ed in cui a tempo d’oggi, cioè duemila anni dopo l’epoca di tal poeta, si trovano ancora le stesse scene, e le circostanze medesime, ch’egli canta? […] 1
Emozioni che ancora oggi si ripetono all’infinito grazie al lavoro dei fotografi di centosettanta anni fa che ritrassero le scene citate sul diario di Münter, quei paesaggi già esistenti da duemila anni che i fotografi del XIX secolo riuscirono a cogliere e a proteggere così dalle insidie del tempo e dell’uomo permettendo loro, attraverso la fotografia, di arrivare fino ai nostri giorni.
Fotografie di reperti archeologici che sono esse stesse divenute reperti, capaci di trasportarci in altre dimensioni temporali, secondo le conoscenze di ognuno, vedute d’epoca in grado di offrire le informazioni mancanti per formare o completare le profonde visioni del tempo passato, pure se lontanissimo, come quello della grecità.
Ma dov’erano la patria della grecità e la ricchezza di vestigia greche se non in Sicilia?
e a Siracusa, la città dai legami più rilevanti con Atene?
Siracusa però, malgrado la grandezza della sua storia non ha mai offerto un appeal ideale per i viaggiatori del Grand Tour, tanto che alcuni, tra i quali il poeta Goethe, rinunciarono a farvi tappa.
1 - “Viaggio in Sicilia di Federico Münter” – Palermo, Tipografia del fu Francesco Abbate
SIRACUSA FOTOGRAFATA
Vedutismo e fotografia d’atelier raggiungono in Sicilia, tra il 1860 e il 1900, livelli d’espressione eccellenti, grazie agli stimoli introdotti da alcuni noti fotografi che proprio in quegli anni giungono nell’Isola conferendo un’efficace spinta all’apertura di diversi studi fotografici e, se è vero, come affermava William Henry Fox Talbot che il fotografo “esaminando quel che ha registrato scopre molte cose di cui non aveva avuto nozione sul momento”, quindi possiamo dire che, osservando le antiche immagini di Siracusa, è come se guardassimo questa città per la prima volta.
Le fotografie più antiche di Siracusa, secondo le notizie esistenti, furono riprese dal reverendo inglese George Wilson Bridges (Australia 1788 - ?1863) nel 1846 durante il viaggio che fece in Sicilia insieme al un altro reverendo fotografo, Calvert Richard Jones (1804 –1877), durante il quale il Rev. Bridges produsse dei pregevoli calotipi di vedute di Siracusa oggi conservati in molti prestigiosi musei del mondo trattandosi dei primi esperimenti di copie ottenute da una matrice negativa .
Più tardi giunsero in Sicilia i Fratelli Alinari che dal 1852 avevano avviato a Firenze la loro attività con l’idea di produrre un vero e proprio censimento fotografico di paesaggi e città d’arte, che poi realizzeranno secondo i canoni classici della visione prospettica rinascimentale, utilizzando un punto di vista alto rispetto al piano stradale, al fine di rendere efficacemente i dettagli delle architetture inquadrate e contribuendo così a diffondere le opere d’arte italiane, note e meno note, in contesti internazionali, rafforzando l’immagine dell’Italia come luogo d’arte e cultura.
Alla fine del XVIII secolo gli Alinari e lo studio Brogi (il cui archivio dal 1950 fu acquisito dagli Alinari) censirono fotograficamente anche a Siracusa manufatti d’arte e i monumenti che avevano già incantato i viaggiatori del secolo prima.
Il richiamo dell’Isola era forte, e così numerosi altri fotografi giungevano in Sicilia da diverse città d’Europa desiderosi di far fortuna o perché affascinati dalle bellezze di una terra insolita e primitiva, oltre che ricca di antiche vestigia e opere d’arte.
Robert Rive e Giorgio Sommer erano tra questi e, oltre che stranieri, venivano da Napoli, sede del Regno Borbonico dove si erano insediati, essi rappresentavano figure di rilievo già note per la qualità del lavoro svolto, specialmente Sommer, che nel 1860 giunse in Sicilia perché appositamente chiamato a illustrare con le sue fotografie la voluminosa opera dell’Abate Benedetto Gravina, “Il Duomo di Monreale illustrato”, le cui stampe all'albumina sono ancora oggi estremamente stabili a dimostrare come fin dalle prime applicazioni documentarie la fotografia, ebbe l'obbiettivo di coniugare chiarezza descrittiva a qualità estetica.
Sommer reiterò più volte la sua frequentazione siciliana e siracusana lasciando un vero e proprio patrimonio fotografico.
Alla fine del XVIII sec. si facevano strada a Siracusa anche i primi fotografi locali; tra i primi ad insediarsi stabilmente, a Siracusa fu Tommaso Leone (da Palermo), con studio in via Roma al n. 5.
Leone si distinse per una discreta produzione di vedute aretusee, dedicate ai siti archeologici più famosi, i luoghi classici del turismo siracusano, oltre ad una serie di ritratti ambientati di popolani.