FOTOTECA SIRACUSANA
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SCRIPTPHOTOGRAPHY
Umberto VERDOLIVA (IT)
UMBERTO VERDOLIVA
“Street” silenziosa e intimista, assai lontana dalla chiassosità scenica a cui siamo abituati dal brulicare d’immagini unite dal desiderio di somigliarsi eternamente. Ma non solo. L’intero lavoro di Umberto Verdoliva – ve ne sono tracce visibili in ogni serie – è versato di sottigliezze, di piccoli dettagli che in qualità di segni semantici assumono forma di un linguaggio personale. Da questa attenzione apprendiamo come l’occhio del fotografo sia attento, oltre a un sicuro senso della composizione, nel cogliere e fermare le involontarie incongruenze di un attimo e consegnarle alla dimensione in cui è possibile leggervi un racconto in forma di frammento. Ma questo altro non è che un particolare, una caratteristica che intercetta ogni serie e che determina la cifra della ricerca. E con un equilibrio che tende a unire, organizzare e fondere gli elementi visuali in un intreccio organico. Là dove lo spirito della “street” è più netto, in “Città Mentale”, c’è come il respiro di un’intimità pacificatrice tra l’uomo e le sue strade e non il convulso groviglio anonimo di volti chiamati a stabilire il territorio di una collettività solitaria. Qui le figure sono sole: le vediamo sorprese in una quotidianità raccolta, chiusa al limitare di ombre ripide come una cascata e luci taglienti, tanto che nell’inconsapevole protagonismo scorgiamo i segni di un raccoglimento che solo la provincia permette di stabilire. Un attimo, una minuscola frazione temporale e tutto si compone: è di questo che bisogna una scena e un fotografo deve sapere come e quando coglierla. In “Prigioniero della Privacy” i volti non compaiono mai e talvolta la fisicità è oscurata momentaneamente dalla frapposizione di qualche elemento. Quanto può sembrare un gioco in realtà è una precisa volontà progettuale in cui la regola è l’occultamento occasionale dell’identità: una tenda, un vetro prossimo alla frantumazione definitiva, un mazzo di fiori, le mani dell’amante, una nuvola di fumo tutto concorre seppur momentaneamente all’apparire di un piccolo quotidiano mistero. Mistero che si ripete – qui la cura di Verdoliva è pertinente – nella serie “Realtà parallele” nel quale le ombre gareggiano con i soggetti alla formazione di un quadro al cui bilanciamento non manca l’incidenza talvolta irreale e obliqua, specie negli scatti dall’alto, dove le ombre lunghe – le vere protagoniste – si articolano come propaggini e che introduce all’accelerazione sognante del collage ottico di “What is a dream”. Qui la “street” è organizzata lungo l’ordito delle trasparenze, delle sovrapposizioni dei diversi piani di lettura e in cui l’onirico urbano – il tema vero della serie – è, a volte, trapunto da elementi di pensosa ironia. Ombre, si è scritto. E le ombre, rivalutate nell’essenza di un protagonismo contro la materia e riflessi che determinano la scomposizione fisica del ritratto prosegue con “Self Portrait”, una serie in cui la supremazia dell’assenza e del particolare prevalgono sulla narrativa composita della fisicità. Il punto di vista, sapere cioè cosa fotografare e perché fotografare, addensa il suo significato nella serie “Il retrovisore”. Si è detto che la fotografia guardi al futuro attraverso lo specchietto retrovisore, indicando con questo assunto la forte vocazione della fotografia a rinsaldare la sua tradizione. E’ certo che con questa serie siamo alla conclamazione del tratto esplorativo dei tic e della abitudini – spesso cattive – degli automobilisti alla guida della loro autovettura. Quanto risulta, dopo essere invitati alla declinazione di un voyeurismo comportamentale, è l’articolazione di un microcosmo abitativo in cui guidatore o passeggero (o entrambi) sono chiamati a una risoluzione di un tempo “forzoso” trascorso durante il tragitto e nel quale, al chiuso dell’abitacolo, affiorano micro crisi, nervosismo, noia come parti di un catalogo comportamentale che sappiamo essere più nutrito. Attitudini, specificità, tendenze. Verdoliva indaga in ogni campo delle attività dell’uomo, sicuro che ovunque vi sia qualcosa ancora da narrare. In “Amen” Verdoliva esplora l’uomo al cospetto con la fede, nella ripetizione di una liturgia cui affidare la risposta ai suoi interrogativi. Tema grandioso che il fotografo affronta nel versante più intimo, nel raccoglimento di gesti ripetuti e salvifici che tendono a un rapporto diretto e personale con Dio. Verdoliva coglie i soggetti nel loro lato più esposto, i fedeli sono consapevolmente minuscoli di fronte all’incommensurabilità della potenza del divino e i loro atteggiamenti, colti con elegante sapienza dell’obiettivo, narrano della fragilità dell’uomo. Voglio soffermarmi infine su una serie assai intima, “Mon Enfance”. Poiché a e è molto caro il tema della memoria, che considero al pari di un sentimento, ammetto d’essere rimasto favorevolmente colpito da queste fotografie. Le immagini familiari, prese dal padre del fotografo al tempo di un’infanzia che immaginiamo spensierata e irripetibile, provengono dai filmati in super 8, dalle piccole e rivoluzionarie cineprese che hanno avuto il potere di testimoniare e consegnare a futura memoria volti, persone e momenti della vita di quanti, come il sottoscritto, è stato contemporaneo all’avvento di una tecnologia oggi superata ma che durante il finire degli anni sessanta e fino a tutto il settanta hanno ripreso i momenti salienti della nostra vita. Umberto Verdoliva ha recuperato quei filmati, quelli non aggrediti irrecuperabilmente dal tempo, li ha versati in un CD, salvandoli, e ha fotografato le immagini più significative. Quanto risulta da quest’operazione, che ha innanzitutto il sapore della post-modernità, è un resoconto struggente di una vita nella quale si era ricchi senza averne consapevolezza. Una commozione. Sincera, nella quale il rivolo di più d’una lacrima dev’essere accorso agli occhi del fotografo per percorrerne le gote. Ne sono sicuro. A me è successo lo stesso al cospetto della visione di filmati di famiglia la cui ripresa ha miracolosamente riesumato nomi, volti ed episodi troppo in fretta dimenticati, spinti in un angolo dall’incedere della vita stessa. Le immagini che vediamo sono nebulose e inafferrabili proprio come lo sono i ricordi lontani, macchie che attendono d’essere chiarite e alleggerire dal pesante cumulo di episodi e nuove esperienze che chiamiamo vita. Ed è bellissima e commovente l’immagine d’un padre che tiene tra le sue braccia il figlio, in alto, perché dev’essere stato bello vedere il mondo da lassù. Ma le foto di “Mon Enfance” sono più di un racconto privato, esse sono lo spaccato di una società che, a partire dalla famiglia, non esiste più e il cui ricordo deve farsi ineluttabile come la restituzione di un debito. La memoria è tutto. L’uomo senza memoria è come se non avesse mai vissuto. Ed è per questo che salutiamo come benvenuta l’operazione che Umberto Verdoliva ha voluto condividere con noi. Con tutti noi.
Giuseppe Cicozzetti
da “Città Mentale”; “Prigioniero della Privacy”; “Realtà parallele”; “What is a dream”; “Self Portrait”; “Il retrovisore”; “Amen”; “Mon Enfance”.
foto Umberto Verdoliva
"Street" silent and intimist, far from the stage noise that we are accustomed to by the swarm of images united by the desire to resemble eternally. But not only. The entire work of Umberto Verdoliva - there are visible traces in each series - is poured out with subtleties, small details that take the form of a personal language as semantic signs.
From this attention we learn how the eye of the photographer is attentive, as well as a sure sense of composition, in grasping and stopping the involuntary inconsistencies of a moment and deliver them to the dimension in which you can read a story in form of a fragment. But this is nothing but a particular, a characteristic that intercepts each series and determines the amount of research.
And with a balance that tends to unite, organize and merge the visual elements in an organic intertwining. Where the spirit of "street" is more clear, in "Mental City", there is the breath of a pacifier intimacy between man and his streets and not the convulsive anonymous tangle of faces called to establish the territory of a solitary collectivity.
Here the figures are alone: we see surprises in a daily life, closed to the limit of steep shadows like a waterfall and sharp lights, so that in the unconscious protagonism we see signs of a recollection that only the province allows to establish. A moment, a minute fraction of time and everything is composed: this is what a scene is needed and a photographer must know how and when to take it.
In "Prisoner of Privacy" the faces never appear and sometimes the physicality is temporarily obscured by the interposition of some element. What may seem like a game is actually a precise planning will in which the rule is the occasional concealment of identity: a curtain, a glass close to the final shattering, a bouquet of flowers, the hands of the lover, a cloud of smoke everything contributes, albeit momentarily, to the appearance of a small daily mystery.
Mystery that repeats itself - here the care of Verdoliva is pertinent - in the series "Parallel Realities" in which shadows compete with the subjects to the formation of a picture whose balancing does not lack the incidence sometimes unreal and oblique, especially in the shots from high, where the long shadows - the real protagonists - are articulated as offshoots and which introduces the dreamy acceleration of the optical collage of "What is a dream".
Here the "street" is organized along the warp of transparencies, the overlapping of the different levels of reading and in which the urban dream - the true theme of the series - is, at times, trapped by elements of thoughtful irony. Shadows, it is written. And the shadows, re-evaluated in the essence of a protagonism against matter and reflections that determine the physical decomposition of the portrait, continues with "Self Portrait", a series in which the supremacy of absence and detail prevails over the composite narrative of physicality.
The point of view, knowing what to photograph and why photographing, thickens its meaning in the series "The rear-view mirror". It has been said that photography looks to the future through the rear-view mirror, indicating with this assumption the strong vocation of photography to reinforce its tradition. It is certain that with this series we are at the conclusion of the exploratory part of the tics and the habits - often bad - of the drivers driving their cars.
What turns out, after being invited to the declination of a behavioral voyeurism, is the articulation of a living microcosm in which driver or passenger (or both) are called to a resolution of a "forced" time spent during the journey and in which, at the closed in the cockpit, micro crisis emerges, nervousness, boredom as parts of a behavioral catalog that we know to be more nurtured. Attitudes, specificity, trends.
Verdoliva investigates in every field of human activities, sure that there is something to be told yet. In "Amen" Verdoliva explores man in the presence of faith, in the repetition of a liturgy to entrust the answer to his questions. Great theme that the photographer faces in the most intimate side, in the recollection of repeated and salvific gestures that tend to a direct and personal relationship with God.
Verdoliva captures the subjects in their most exposed side, the faithful are consciously miniscule in front of the incommensurability of the power of the divine and their attitudes, captured with elegant wisdom of the lens, narrate the fragility of the man. Finally, I want to focus on a very intimate series, "Mon Enfance". Since the theme of memory is very dear to and I consider it a feeling, I admit that I was impressed by these photographs.
The familiar images, taken from the father of the photographer at the time of a childhood that we imagine carefree and unrepeatable, come from super 8 movies, from the small and revolutionary cameras that have had the power to witness and deliver future faces, people and moments of the life of those who, like myself, have been contemporary with the advent of a technology that has been overcome but that during the late sixties and up to the seventies have taken up the highlights of our lives.
Umberto Verdoliva has recovered those films, those not attacked irrecoverably by time, he has poured them into a CD, saving them, and has photographed the most significant images. What results from this operation, which has above all the flavor of post-modernity, is a poignant account of a life in which one was rich without being aware of it. A commotion. Sincere, in which the trickle of more than one tear must have come to the photographer's eyes to follow his cheeks. I'm sure.
The same happened to me in the presence of family films, whose recovery miraculously exhumed names, faces and episodes too hastily forgotten, pushed into a corner by the pace of life itself. The images we see are nebulous and elusive just as distant memories are, stains waiting to be clarified and lightened by the heavy accumulation of episodes and new experiences that we call life.
And it is beautiful and moving the image of a father holding his son in his arms, above, because it must have been nice to see the world from up there. But the photos of "Mon Enfance" are more than a private story, they are the cross-section of a society that, starting from the family, no longer exists and whose memory must be ineluctable like the repayment of a debt. Memory is everything. Man without memory is as if he had never lived. And that's why we welcome the operation that Umberto Verdoliva wanted to share with us. With all of us.
Giuseppe Cicozzetti
from "Mental City"; "Prisoner of Privacy"; "Parallel Realities"; "What is a dream"; "Self Portrait"; "The rear-view mirror"; "Amen"; "Mon Enfance".
ph. Umberto Verdoliva