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Cesare COLOMBO (Italia)
CESARE COLOMBO
Dovremmo somigliare alle parole che scriviamo, che pronunciamo, che sussurriamo, perché le parole suscitano affetti e reazioni, e sono il mezzo con cui gli uomini si influenzano reciprocamente. La parola è una responsabilità. Questo assunto potrebbe – anzi, dovrebbe – essere valido per le fotografie che scattiamo: esse influenzano il rapporto tra immagine e fruitore. Non è semplice ma la direzione è questa, soprattutto se si è deciso di indagare le attività dell’uomo attraverso testimonianze visive. Cesare Colombo (1935-2016) è stato uno tra i fotografi che meglio hanno rivestito il ruolo di testimone del loro tempo; un tempo che diviene il nostro nel momento in cui ne osserviamo le immagini. Ma il ruolo di testimone, da solo, può non bastare: registrare l’attualità senza versarvi un dato autoriale, consegnerebbe le fotografie a una sorta di freddo “anonimato della storia”. Cesare Colombo ha saputo risolvere questa crisi, compito che si assolve solamente si si possiedono curiosità per le cose umane, voglia di comprenderle e, soprattutto un’innata empatia: la sua è una vicinanza a una cronaca che non sa ancora che sta per diventare Storia. Da qui le responsabilità, per l’uomo e il suo tempo. La Milano di Colombo è narrata dai suoi protagonisti, persone, prima d’ogni altra attribuzione sociale, che laboriosamente hanno fatto grande il capoluogo lombardo, osservati con il rispetto di chi vuole comprendere la loro presenza. Uomini e la città. Il rapporto è strettissimo, perché è l’ambiente che suggerisce o provoca le azioni. Ecco che la Milano operaia, quella delle grandi fabbriche, rincorre la città del nascente terziario che ne farà un modello di sviluppo, mentre insieme guardano le trasformazioni imposte dai grandi maestri della moda. Di queste trasformazioni, Cesare Colombo è stato testimone attivo e partecipe per oltre quarant’anni. Il suo sguardo, sensibile quanto lo era lui, lo ha guidato a concentrarsi sul “protagonismo periferico” di chi, assorbendo le dinamiche dei cambiamenti o essendo testimone di fatti drammatici, affollava con la presenza, con il corpo, con i volti segnati la durezza della modernità. Si guardi, a questo proposito, la foto dei quattro operai. Fanno parte di un corteo funebre. Sono silenti, attoniti e sgomenti, sembrano in cerca di una risposta che arriverà molti decenni più tardi. Sono i funerali delle vittime della strage di piazza Fontana, l’eccidio che segnò l’arrivo nel Paese di una stagione crudele. Colombo si sofferma sugli operai, su questa umanità ridotta a brandelli e in quelle mani che toccano l’altro ravvediamo il bisogno di sentirsi uniti, come parte di una categoria che, oggi, ha pochi superstiti. Questa è una delle cifre distintive del lavoro di Cesare: sentirsi parte del corpo vivo della sua città per riportarne i sussurri e le grida, la gioia e le lacrime con assoluta compassione. Ecco perché dico che le fotografie di Cesare Colombo gli assomigliano: hanno la stessa piccola e grandiosa pietas che aveva lui; la stessa leggerezza che riempiva i suoi giorni; lo stesso scrupolo (Cesare era uno studioso e archivista impegnato alla produzione di squisite ricerche fotografiche). Lo dico perché è stato un mio amico. Lo dico perché è vero. Una grande mostra antologica – sospesa in questi giorni a causa della diffusione del virus Covid-19 – al Castello Sforzesco di Milano, curata da Silvia Paoli e dalle figlie Sabina e Silvia, intende celebrare la memoria e il lavoro di un poeta delle immagini, perché chi sa piegare il caos alla poesia è certamente un poeta, un poeta che somiglia a ognuna delle sue parole.
Giuseppe Cicozzetti
foto Cesare Colombo
http://www.censimento.fotografia.italia.it/fondi/colombo-cesare/
We should resemble the words that we write, that we pronounce, that we whisper, because words inspire affections and reactions, and are the means by which men influence each other. The word is a responsibility. This assumption could - indeed, should - be valid for the photographs we take: they influence the relationship between image and observer. It is not simple but the direction is this, especially if it has been decided to investigate human activities through visual testimonies. Cesare Colombo (1935-2016) was one of the photographers who best played the role of witness of their time; a time that becomes ours when we observe its images. But the role of a witness, on its own, may not be enough: recording the current situation without pouring an authorial data into it, would deliver the photographs to a sort of cold "anonymity of history". Cesare Colombo has been able to solve this crisis, a task that is performed only if you have curiosity for human things, desire to understand them and, above all, an innate empathy: his is a closeness to a chronicle that doesn’t yet know that it is going to become History . Hence the responsibilities for man and his time. Colombo's Milan is narrated by its protagonists, people, before any other social attribution, who laboriously made the Lombard capital great, observed with the respect of those who want to understand their presence. Men and the city. The relationship is very close, because it is the environment that suggests or provokes actions. Here Milan workers, that of large factories, chases the city of the nascent tertiary sector that will make it a model of development, while together they look at the transformations imposed by the great masters of fashion. Of these transformations, Cesare Colombo has been an active and participant witness for over forty years. His gaze, as sensitive as he was, guided him to focus on the "peripheral protagonism" of those who, absorbing the dynamics of changes or being witness of dramatic events, crowded with the presence, with the body, with the faces marked the hardness of modernity. In this regard, look at the photo of the four workers. They are part of a funeral procession. They are silent, astonished and dismayed, they seem to be looking for an answer that will come many decades later. These are the funerals of the victims of the Piazza Fontana massacre, the massacre that marked the arrival of a cruel season in the country. Colombo dwells on the workers, on this humanity reduced to shreds and in those hands that touch the other we see the need to feel united, as part of a category that, today, has few survivors. This is one of the distinctive features of Caesar's work: feeling part of the living body of his city to bring back its whispers and cries, joy and tears with absolute compassion. That's why I say that Cesare Colombo's photographs resemble him: they have the same small and grandiose pietas that he had; the same lightness that filled his days; the same scruple (Cesare was a scholar and archivist engaged in the production of exquisite photographic research). I say this because he was a friend of mine. I say it because it's true. A large anthological exhibition - suspended in recent days due to the spread of the Covid-19 virus - at the Castello Sforzesco in Milan, curated by Silvia Paoli and his daughters Sabina and Silvia, intends to celebrate the memory and work of a poet of the images, because who knows how to bend chaos to poetry is certainly a poet, a poet who resembles each of his words.
Giuseppe Cicozzetti
foto Cesare Colombo
http://www.censimento.fotografia.italia.it/fondi/colombo-cesare/