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SCRIPTPHOTOGRAPHY

REGGIE VOIGTLÄNDER

“Non è ancora buio, ma presto lo sarà” recita un verso di Dylan. Un ammonimento, forse un avviso spendibile nella catarsi di un giorno la cui luce illumina ogni contraddizione e che il calare delle tenebre nasconde, appiana. I contorni si sfumano: non è più giorno non è ancora notte e le anime d’acciaio si sciolgono al riparo dell’oscurità. “Nightview” di Reggie Voigtländer è un omaggio alla notte, al suo farsi, al suo divenire protagonista. E infatti la notte qui, nelle sue fotografie, assume i contorni lasciati vuoti dalle suggestioni diurne per infittirsi di un realismo magico. Ecco dunque scene livide, composte e illuminate come un set ma che invece vivono di una loro brillante autonomia. Ribaltando l’assunto che la notte sia portatrice di inquietudini (i lavori di Todd Hido lo dimostrano) Voigtländer si inerpica nello stesso crinale dei predecessori che vedono nell’arrivo della notte un’intima poesia domestica del raccoglimento, un rifugio dalle intemperie emozionali inevitabili alla luce del giorno. Eppure non è affatto detto che oscurità sia sinonimo di interruzione delle relazioni che Georg Klaus chiamava “i fili della nostra stessa esistenza”; anzi assistiamo allo stabilirsi di nuovi e silenziosi equilibri. Tuttavia questo ci porterebbe lontano dal centro del lavoro di Voigtländer. “Nightview” è l’esplorazione, nella direzione di una piena rivalutazione, di un “centro” svogliatamente negletto, quasi invisibile alla luce del giorno a causa di una volontaria distrazione di significato. In questo senso Voigtländer si impegna nello sforzo di restituire una propria dignità a luoghi – spesso periferici – velocemente catalogati bruscamente come privi di soggettività e quindi, dal punto di vista fotografico, poco seducenti. Con il tempo questa frattura tra ciò che ha naturalmente una sua forza espressiva da offrire alla cattura e quanto invece no è stata colmata concettualmente – si pensi al grande lavoro dell’italiano Guido Guidi nel ricompensare le periferie ed elevarle alla dignità d’essere raccontate. Le notti di Voigtländer seducono, si lasciano ammirare; esse ci appaiono, per converso brillanti di luce propria quasi volessero offrirci, tra il baluginare di luci e il placido scendere delle ore un “cielo riparatore” che sarebbe piaciuto Paul Bowles se solo avesse chiuso gli occhi della lancinante luce nord-africana. L’incipiente oscurità, si è detto, è la vera protagonista di “Nightview”, una serie desidera lasciarsi osservare nella distillazione di forme, dettagli, di nuove prospettive dove non manca un elemento “magico” capace di impreziosire l’osservazione, catturandola nei passaggi più esplicitamente lividi. Così manufatti in costruzione, strutturati nella loro scheletrica indeterminatezza, edifici anonimi scaldati dalle finestre illuminate o luoghi apparentemente destinati al transito ci appaiono rinforzati di nuova linfa, di un racconto colpevolmente tralasciato a vantaggio di luoghi più celebrati. Una restituzione, ecco qual è l’obiettivo di Voigtländer, dare senso cioè a quanto sembra non averlo. E in questo ravvisiamo il raggiungimento, o quantomeno l’approssimarsi, di un canto notturno, di un’epica delle ombre e a chi, come chi scrive, ha cara la notte non può non dare il benvenuto a “Nightview” e iscriverlo tra i più incisivi e onesti lavori sulla notte che cade.

 

Giuseppe Cicozzetti

da “Nightview” 

 

foto Reggie Voigtländer

 

http://www.reggievoigtlander.nl

 

 

It’s not dark yet, but it’s getting there” says a line from a Dylan’s song. A warning, perhaps a spendable warning in the catharsis of a day whose light illumines every contradiction and that the darkness falls conceals. The contours are blurred: it’s no longer night, and the souls of steel melt away from the darkness. "Nightview" by Reggie Voigtländer is a tribute to the night, to its becoming, to its becoming protagonist. And in fact the night here, in his photographs, takes on the contours left empty by the diurnal suggestions to thicken a magical realism.

Here are therefore scenes that are livid, composed and lit up like a set but instead live their brilliant autonomy. Overturning the assumption that the night carry on restlessness (Todd Hido's work demonstrates this) Voigtländer climbs into the same ridge of predecessors who see in the arrival of the night an intimate domestic poetry of recollection, a refuge from the inevitable emotional storms of the daylight.

Yet it’s by no means said that obscurity is synonymous with the interruption of the relations that Georg Klaus called "the threads of our very existence"; on the contrary, we are witnessing the establishment of new and silent balances. However this would take us far from Voigtländer's work center. "Nightview" is the exploration, in the direction of a full revaluation, of a "center" listlessly neglected, almost invisible in the light of day due to a voluntary distraction of meaning.

In this sense Voigtländer commits itself in the effort to restore its own dignity to places - often peripheral - quickly cataloged abruptly as devoid of subjectivity and therefore, from the photographic point of view, not very seductive. Over time this fracture between what naturally has its expressive force to offer to capture and how much has not been conceptualized - think of the great work of the Italian Guido Guidi in rewarding the suburbs and elevating them to the dignity of being told.

The nights of Voigtländer seduce, they allow themselves to be admired; they appear to us, conversely, shining of their own light as if they wanted to offer us, between the glimmering of lights and the placid descent of the hours a "sheltering sky" that would have liked Paul Bowles if only he had closed the eyes of the excruciating North African light.

The incipient obscurity, it has been said, is the true protagonist of "Nightview", a series wishes to be observed in the distillation of shapes, details, new perspectives where there’s a "magic" element capable of embellishing the observation, capturing it in the more explicitly bruised steps. So manufactured artifacts, structured in their skeletal indeterminacy, anonymous buildings warmed by the illuminated windows or places apparently destined to transit appear to us reinforced with new life, a story that has been guilty neglected to the advantage of more celebrated places.

A restitution, here is what Voigtländer's goal is, giving meaning to what it does not seem to have. And in this we recognize the attainment, or at least the approach, of a nocturnal song, an epic of the shadows and to whom, as the writer, has the night can not but welcome "Nightview" and register it among the most incisive and honest work on the night that falls.

 

Giuseppe Cicozzetti

from “Nightview” 

 

ph. Reggie Voigtländer

 

http://www.reggievoigtlander.nl

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