FOTOTECA SIRACUSANA
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SCRIPTPHOTOGRAPHY
Tony VACCARO (USA)
TONY VACCARO
Da una guerra si esce sempre sconfitti. Anche i vincitori. Giugno 1944, gli Alleati sbarcano in Normandia. Nell’obbiettivo di porre fine al Nazismo, una coalizione di forze armate ingaggia sul territorio francese una sanguinosa offensiva, l’obiettivo è liberare l’Europa e il prezzo da pagare è uno spargimento di sangue che supererà le più nefaste aspettative. Non ci sono solo militari durante lo sbarco, al seguito delle truppe i fotografi che ne seguono l’avanzata sono molti. Tra questi un giovane di ventidue anni in forza all’83esimo fanteria. Un italo-americano, il suo nome è Tony Vaccaro. Le fotografie che propongo appartengono proprio a quei giorni d’inferno, dove arrivare a sera sani e salvi costituiva un miracolo. Le foto sono crude, non ammiccano, raccontano davvero il primo obiettivo di una guerra, produrre vittime. Nelle fotografie di Vaccaro dunque non c’è l’enfasi guerriera che piace così tanto ai poeti né l’eroico quotidiano, il disciplinare mistico dei generali: nelle fotografie di Vaccaro c’è fatica, sangue e soprattutto il volto della morte. E senza un briciolo di compiacimento. In questo reportage, “World War II”, la verità intende accanirsi contro ogni possibile manipolazione, contro ogni falsificazione. Non ho usato a caso il termine verità (diffidate di chi assegna alla fotografia il ruolo di portatore di verità) e lo uso per marcare una differenza sostanziale tra come si guardava una fotografia un tempo e come la si guarda adesso, sul suo significato – un significato, attenzione, che può essere stravolto da un qualunque tipo di propaganda. Tutt’altro genere di sbarchi avvengono in questi anni sulle coste italiane. Una moltitudine di disperati in cerca di un destino e condizioni migliori di quelle lasciate dai paesi di provenienza, si imbarcano su mezzi di fortuna e attraversano il Mediterraneo. I più fortunati saranno quelli che una volta lasciato un inferno ne troveranno un altro fatto di respingimenti, politiche vessatorie, episodi di intolleranza razzista e quella diffusa sgradevole sensazione di essere di troppo in uno dei Continenti più ricchi. I più sfortunati moriranno annegati, come i tre bambini vestiti di rosso in una fotografia che circola nei media. Se di fronte ai soldati senza vita di Vaccaro nessuno obietterà alcunché e constaterà la morte di un essere umano, nel caso dei tre bambini senza vita si è sollevato un acceso dibattito intorno all’autenticità della fotografia. Si è detto infatti che i bambini in realtà fossero bambolotti, che la scena è stata preparata per la commozione di noi tutti, che attraverso la sua pubblicazione si voglia in qualche modo infangare il governo in carica (non certamente tenero e sensibile in materia di immigrazione), che erano asciutti. Insomma che non era vero niente. E poi, quel colore rosso! A chi può venire in mente, dicono i detrattori, di salpare vestendosi di rosso? Viene in mente alle loro madri. Viene in mente di vestire i bambini con indumenti di colore rosso perché siano visibili, e dunque più facilmente recuperabili, in caso di naufragio. Ma molti storcono il naso, si improvvisano esperti di fotografia e cercano di smentire ogni punto. E come fanno? Semplice, con un’altra fotografia. Infatti per comprovare la tesi complottista, una fotografia ritrae i soccorritori, gli stessi che appaiono nella fotografia (vera) con in braccio i corpicini dei bambini in rosso, con una fotografia elaborata con Photoshop e nella quale i soccorritori sarebbero in uno studio fotografico. Fake news, si dice oggi, menzogne, un tempo. Forse anche sotto il profilo semantico vogliamo allontanarci dal vero. Insomma per smontare la verità occorre una bugia. Questo è uno dei punti fermi della propaganda. Cosa vediamo quando osserviamo una foto? Quello che vogliamo vederci. E se non ci piace emotivamente lo rigettiamo per garantirci la versione che più si attaglia alle nostre convinzioni. Si obietterà: la propaganda era attiva anche durante la seconda Guerra Mondiale. Vero. Peccato non avesse a disposizione i mezzi e i canali di comunicazione di cui disponiamo noi. E infatti i nazisti di fronte alle fotografie delle vittime della Shoah non vollero credervi, messi di fronte all’evidenza documentale di corpi ammassati come stracci molti si dissero convinti che le immagini fossero frutto della propaganda. Se Vaccaro solo sapesse della polemica in atto in Italia, inorridirebbe. Penserebbe che a distanza di oltre settant’anni l’arma della propaganda è più incisiva e dilagante di ogni immagine, persino più convincente e come la creazione di una bugia sappia potenzialmente distruggere il lavoro del reporter. Oggi come allora, ma oggi più che mai. Tony Vaccaro è stato testimone di una tragedia, e benché ultra novantenne ha ancora negli occhi l’orrore dei corpi senza vita di giovani chiamati a combattere, cosa questa che nessun Photoshop arriverà mai a modificare. Da una guerra escono sconfitti sia vinti che vincitori. Tutti. Tranne la memoria.
Giuseppe Cicozzetti
da “World War II”
foto Tony Vaccaro
From a war one always comes out defeated. Even the winners. June 1944, the Allies landed in Normandy. In order to put an end to Nazism, a coalition of armed forces engages a bloody offensive on French territory, the goal is to free Europe and the price to pay is a bloodshed that will exceed the most dire expectations.
There are not only soldiers during the landing, following the troops the photographers who follow the advance are many. Among these, a young man of twenty-two aggregated to the 83rd infantry. An Italian-American, his name is Tony Vaccaro. The photographs that I propose belong precisely to those days of hell, where arriving in the evening safe and sound was a miracle. The photos are raw, they do not wink, they really tell the first objective of a war, to produce victims.
In Vaccaro's photographs, therefore, there’s not the warlike emphasis that so much the poets like or the daily heroic, the mystical discipline of generals: in Vaccaro's photographs there is fatigue, blood and above all the face of death. And without a shred of complacency. In this report, "World War II", the truth intends to be furious against any possible manipulation, against any falsification. I didn’t use the term truth (you distrust those who assign the role of truth-bearer to photography) and use it to mark a substantial difference between how you looked at a photograph once and how you look at it now, about its meaning - a meaning, attention, which can be distorted by any kind of propaganda.
Any other kind of landings take place in these years on the Italian coast. A multitude of desperate people in search of a destiny and conditions better than those left by the countries of origin, embark on makeshift vehicles and cross the Mediterranean. The lucky ones will be those who once left a hell will find another fact of rejection, oppressive policies, episodes of racist intolerance and the widespread unpleasant feeling of being too much in one of the richest continents. The most unfortunate will die drowned, like the three children dressed in red in a photograph circulating in the media.
If nobody will object to the dead soldiers of Vaccaro and he will see the death of a human being, in the case of the three lifeless children there has been a heated debate about the authenticity of photography. In fact, it was said that the children were actually dolls, that the scene was prepared for the emotion of us all, that through its publication you want to somehow tarnish the government in office (certainly not tender and sensitive immigration), which were dry. In short, that was not true. And then, that red color! Who can come to mind, say the detractors, to sail away wearing red?
It comes to their mothers' mind. It comes to mind to dress children with red clothing so that they are visible, and therefore more easily recoverable, in the event of a shipwreck. But many turn up their noses, they improvise photography experts and try to deny every point. And how do they do it? Simple, with another photograph. In fact, to prove the conspiracy thesis, a photograph portrays the rescuers, the same ones that appear in the photograph (true) with the children's bodies in red in their arms, with a photograph elaborated with Photoshop and in which the rescuers would be in a photographic studio. Fake news, it is said today, lies, once.
Perhaps even from a semantic point of view we want to get away from the truth. In short, to get rid of the truth you need a lie. This is one of the firm points of propaganda. What do we see when we look at a picture? What we want to see. And if we do not like it emotionally, we reject it to guarantee the version that best fits our convictions. It will be objected: propaganda was also active during the World War II. True. Sin didn’t have available the means and communication channels we have today.
And in fact the Nazis in front of the photographs of the victims of the Shoah did not want to believe you, faced with the documentary evidence of bodies piled up as rags many were convinced that the images were the result of propaganda. If Vaccaro only knew about the controversy in Italy, he would be horrified. He would think that after more than seventy years, the propaganda weapon is more incisive and pervasive than any image, even more convincing, and how the creation of a lie can potentially destroy the work of the reporter. Today as then, but today more than ever. Tony Vaccaro has witnessed a tragedy, and although he is over ninety, he still has the horror of the lifeless bodies of young men called to fight, something that no Photoshop will ever change. Out of a war come defeated both losers and winners. All. Except for the memory.
Giuseppe Cicozzetti
from “World War II”
ph. Tony Vaccaro