FOTOTECA SIRACUSANA
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SCRIPTPHOTOGRAPHY
Enzo TEDESCHI (IT)
ENZO TEDESCHI
Bandite dalla mente il già visto, allontanate dagli occhi la primigenia tentazione, così radicata nella natura fotografica, di duplicare il reale. Ricercate il non visto. Frugate là dove il linguaggio dell’autenticità dà alla realtà significati inesplorati: trasformate l’impalpabile in materia. Abbracciate le vostre visioni, perché l’arte di fotografare è l’arte di pensare. Abbandonate il sacro trittico della retorica fotografica, l’impossibile diceria di “occhio, cuore, mente” che nel malfermo equilibrio cerca ancora d’essere definita. Qui, tra le fotografie di Enzo Tedeschi, nelle giocose pensosità pencolanti in un universo di simboli, il reale cede il passo ora al surrealismo più ancora alla metafisica: quanto esiste, e perché esiste, è già nella mente del fotografo e ora, riconoscendo se stesso nell’obiettivo ottenuto, può dirsi produttore di sogni, scultore d’immagini nella perfetta padronanza di una tecnica al servizio del mythos, lontano, come sappiamo dal non spiegare la realtà ma nel fondarla. I “luoghi non luoghi” dunque assumono coscienza di sé e la proiettano sui giorni dell’uomo, gli stessi da sempre, eternamente: l’uomo è in cerca di un dialogo con il suo intorno, forse impegnato in una mediazione oppure chiamato a fondare una tregua, non sappiamo. Quello che sappiamo è che Sisifo è tornato – forse non è mai andato via – e ha mutato la sua pena: ora l’intronato saliscendi da una montagna è cambiato nella meccanica ripetizione d’un lavoro alienante. “Mutatis mutandis”. Siamo proiettati nello stordimento di un’altra dimensione. Onirica forse, ma a guardare bene capace di “vedere” i nodi della realtà molto meglio di quanto non sappiano fare nostri occhi. E’ la forza del fantastico, corroborata da un’idea di fondo che cerca di esplorare le interazioni umane. Fuggevoli visioni, leggere e profonde come un vento benevolo che soffia da lontano e che ci rinfresca di suggestioni. Smith incontra Garcin e insieme visitano le vertigini di Tedeschi. E le benedicono, nella sottile solitudine d’una poetica così delicatamente rugginosa che sarebbe piaciuta a Válery e ai suoi cattivi pensieri. Brume di fusaggine. Tedeschi ci spinge nel suo mondo, un territorio nel quale la modernità del linguaggio digitale è sottomessa alla forma, come un imperativo inderogabile. E nella forma assumere sostanza o, se volete, consapevolezza che un set, nel suo minuscolo apparato, può ben dirsi moltiplicatore di senso. Raffiche di visioni si susseguono, messe di simboli si rincorrono intorno a un albero o a ciò che ne resta. Ognuno di essi porta nel tronco i segni vetusti come la storia; esso stesso, il tronco, è la storia. Lontano, dimenticato simulacro d’un sacrificio irriverente e non accettato, mentre a perdita d’occhio la steppa appare arida come arida è la dimenticanza delle radici dell’uomo. Enzo Tedeschi fotografa poesie: i rivoli confluiscono, si contano, assumono forza come versi ineludibili. E in quella terra, nella bruna terra dove ognuno porta i suoi passi, ci riconosciamo così come ci riconosciamo nei sogni. Fino a perderci.
Giuseppe Cicozzetti
da “Luoghi non Luoghi”; “Fuggevoli Visioni”; “Storie di Alberi”; “Altra Dimensione”; Sisyphus”
foto Enzo Tedeschi
Ban from mind already seen, away from the eyes the primitive temptation, so rooted in photographic nature, to duplicate the real. Search for the unseen. Search where the language of authenticity gives reality unexplored meanings: transform the impalpable into matter. Embrace your visions, because the art of photographing is the art of thinking. Abandon the sacred triptych of photographic rhetoric, the impossible rumor of "eye, heart, mind" that in the unsteady balance still tries to be defined. Here, among Enzo Tedeschi's photographs, in the playful pensiveness pencolanti in a universe of symbols, the real gives way now to surrealism even more to metaphysics: what exists, and why it exists, is already in the mind of the photographer and now, recognizing if himself in the objective obtained, he can call himself a producer of dreams, a sculptor of images in the perfect mastery of a technique at the service of the mythos, far away, as we know from not explaining reality but in founding it. The "non-places" therefore take on self-awareness and project it onto the days of man, the same for ever, eternally: man is looking for a dialogue with his surroundings, perhaps engaged in a mediation or called to found a truce, we don't know. What we do know is that Sisyphus is back - perhaps he never left - and has changed his sentence: now the entangled ups and downs from a mountain has changed in the mechanical repetition of an alienating job. "Mutatis mutandis". We are projected into the stunning of another dimension. Oneiric perhaps, but to look good able to "see" the knots of reality much better than our eyes know how to do. It’s the strength of the fantastic, corroborated by a basic idea that seeks to explore human interactions. Fleeting visions, light and deep like a benevolent wind that blows from afar and that refreshes us with suggestions. Smith meets Garcin and together they visit Tedeschi's vertigo. And they bless them, in the subtle solitude of a poetic so delicately rusty that Válery and her bad thoughts would have liked. Charcoal mists. Tedeschi pushes us into his world, a territory in which the modernity of digital language is subjected to form, as an imperative imperative. And in the form assume substance or, if you want, awareness that a set, in its tiny apparatus, can well be called multiplier of sense. Bursts of visions follow each other, masses of symbols chase each other around a tree or what's left of it. Each of them carries the old signs like history in the trunk; the trunk itself is history. Far, forgotten simulacrum of an irreverent and unacceptable sacrifice, while the steppe appears as arid as the eye can lose sight of the roots of man. Enzo Tedeschi photographs poems: the streams flow together, they are counted, they take on strength as unavoidable verses. And in that land, in the dark earth where everyone takes their steps, we recognize ourselves as we recognize ourselves in dreams. Until we lose ourselves.
Giuseppe Cicozzetti
From “Non-Places”; "Fleeting Visions"; "Stories of Trees"; "Another Dimension"; “Sisyphus”
ph. Enzo Tedeschi