FOTOTECA SIRACUSANA
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SCRIPTPHOTOGRAPHY
Elisa STURARO (Italia)
ELISA STURARO
Dove finiva la città sorgeva il circo. La sera prima non c’era niente, solo polvere e buio ma la sera dopo lo spazio dimenticato della periferia, desolato, si riempiva di luci. E di un’umanità multiforme e corsara; una tribù in continuo movimento, senza luogo, zingaresca nelle acconciature e negli abiti. Il circo portava un nuovo mondo, coloratissimo e breve, fatto di suoni misteriosi che spaurivano e affascinavano come un poco d’Africa in città.
Il circo e la sua umanità raccolta nel tendone lo hanno raccontato tutti. Da sempre. Il cinema, soprattutto e ognuno a proprio modo. Se Todd Browning in “Freaks” (1932) racconta l’elegia di un’accolita di stranezze umane, ribaltando però i ruoli secondo i quali siamo noi, col nostro morboso voyerismo a essere i veri mostri, Chaplin e più tardi Fellini ne descriveranno il lato più romantico, omaggiando una composizione umana nella quale cogliamo una bellissima poesia della vita. Ecco, il circo è una grande metafora della vita. Dentro c’è tutto: il dramma, il pericolo, le fiere, i sorrisi strappati da clown diventati ambasciatori ubriachi del buonumore.
E c’è forma, una forma plastica che non ha finito di sorprenderci ancora adesso che siamo diventati adulti. Di questa “forma” si è occupata la fotografa Elisa Sturaro in un lavoro dal titolo “The magic of Circus”. Nelle fotografie di Elisa Sturaro c’è un’essenzialità stilistica che pare il prodotto di un lavoro a sottrazione, quasi che l’autrice voglia invitarci a concentrarci sulle cose che l’hanno colpita e dunque l’obiettivo coglie non già l’interezza dell’episodio ma la sua essenza, la radice del gesto, la sua forma primigenia. La suggestione delle immagini è potente – una forza espressa da un sapientissimo equilibrio dei toni e da un bilanciamento strettissimo tra i soggetti nello spazio –, tanto da cadere nell’illusione che il gran teatro della vita sia allestito solo perché noi possiamo ammirarlo. E lo ammiriamo, come ammiriamo ognuna delle foto che, come vedete, raccontano qualcosa già raccontato ma che noi leggiamo con una nuova accentazione, segno inequivocabile che il motore che imbastisce una nuova narrazione è la sensibilità dell’autrice. E qui, Elisa Sturaro, dimostra di possedere non solo sensibilità ma anche una fascinazione per il mondo circense che con urgenza vuole condividere con noi. Trapezisti, domatori, saltimbanchi; e poi animali e giocolieri sono rappresentati con un’allure nuova, poetica, direi intimista quasi che la fotografa volesse stabilire tra noi e i soggetti una chiave diretta, un punto d’osservazione privilegiato e privato, quasi che il suo obiettivo volesse trasportarci laddove l’ampiezza della nostra visuale ci impedisse di cogliere i dettagli più significativi. Se le luci fantasmagoriche sono sostituite dal bianco e nero non si avverte nessuna perdita: l’azzardo è sconfitto sull’altare di un’eleganza qui alla radice del suo intimo, capace di rendere ancora più fascinoso un mondo misterioso in potenza. E noi, in questo ritrovato florilegio di suggestioni, guardiamo le fotografie di Elisa Sturaro con la medesima meraviglia infantile grazie a un ritrovato e benvenuto afflato nostalgico. Questa è la forza della fotografia, evocare e sorprendere: testimoniare un tempo creduto passato e ritrovato lì, nei pressi di quello che chiamiamo anima o, se preferite, tra i sogni. E poiché a un sogno siamo stati invitati, allo stesso sogno di Elisa Sturaro, allora è con lei che dobbiamo farlo, perché i sogni fatti insieme valgono di più.
“The magic of Circus” è un lavoro ben riuscito, un racconto lineare e insieme suggestivo, onirico e reale e merita i riconoscimenti ottenuti.
Giuseppe Cicozzetti
da “The magic of Circus”
foto Elisa Sturaro
Where the city ended, the circus stood. The night before there was nothing, only dust and darkness but the evening after the forgotten space of the suburbs, desolate, was filled with lights. And of a multifaceted and corsair humanity; a tribe in continuous movement, without place, gypsy in hairstyles and clothes. The circus brought a new world, colorful and short, made of mysterious sounds that frightened and fascinated like a little bit of Africa in the city.
The circus and his humanity gathered in the tent have told everyone. Always. Cinema, above all and each in its own way. If Todd Browning in "Freaks" (1932) tells the elegy of an acolyte of human oddities, reversing the roles according to which we are, with our morbid voyeurism to be the real monsters, Chaplin and later Fellini will describe the more romantic side, paying homage to a human composition in which we catch a beautiful poem of life. Here, the circus is a great metaphor of life. Inside there is everything: the drama, the danger, the fairs, the smiles ripped from clowns become ambassadors drunk in good mood.
And there is form, a plastic form that has not finished surprising us even now that we have become adults. The photographer Elisa Sturaro took care of this "form" in a work entitled "The magic of Circus". In Elisa Sturaro's photographs there is a stylistic essentiality that seems to be the product of a subtraction work, as if the author wants to invite us to concentrate on the things that have struck her and therefore the objective captures not the entirety of the episode but its essence, the root of the gesture, its primordial form.
The suggestion of images is powerful - a force expressed by a very sapient balance of tones and a very close balance between the subjects in space - so much so that you fall into the illusion that the grand theater of life is set up just because we can admire it. And we admire it, as we admire each of the photos that, as you see, tell something already told but that we read with a new accent, an unmistakable sign that the engine that bases a new narrative is the sensitivity of the author.
And here, Elisa Sturaro, proves to possess not only sensitivity but also a fascination for the circus world that urgently wants to share with us. Trapeze artists, tamers, acrobats; and then animals and jugglers are represented with a new, poetic allure, I would say intimist almost as if the photographer wanted to establish between us and the subjects a direct key, a privileged and private vantage point, as if her goal wanted to transport us where the amplitude of our vision prevented us from grasping the most significant details.
If the phantasmagorical lights are replaced by black and white there’s no loss: the gamble is defeated on the altar of an elegance here at the root of his intimate, able to make even more fascinating a mysterious world in power. And we, in this rediscovered anthology of suggestions, look at the photographs of Elisa Sturaro with the same childlike wonder thanks to a renewed and welcome nostalgic inspiration.
This is the power of photography, evoking and surprising: witnessing a time believed to have passed and found there, near what we call soul or, if you prefer, between dreams. And since we were invited to a dream, to the same Elisa Sturaro’s dream, then it is with her that we must do it, because dreams made together are worth more.
"The magic of Circus" is a successful work, a linear and at once suggestive, dreamlike and real story and deserves the acknowledgments obtained.
Giuseppe Cicozzetti
from “The magic of Circus”
ph. Elisa Sturaro