FOTOTECA SIRACUSANA
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Fred STEIN (USA)
FRED STEIN
Germania, 1933. Hitler è al potere. Da lì a poco essere ebreo sarà un pericolo, anche se si è tedeschi da generazioni. Fred Stein (1909-1967) è un giovane avvocato che avrebbe speso la sua vita nella corte di un tribunale, se solo ne avesse avuto la facoltà, così anziché preparare arringhe difensive mise tutta la sua vita e quella di sua moglie dentro una valigia e con lei fuggì a Parigi. Ufficialmente si trattava di un viaggio di nozze, ma non tornarono più in quella Germania infuocata dall’odio. A Parigi Stein portò con sé poche cose: la sua gioventù, il suo impegno socialista, una laurea in legge inservibile in Francia e un regalo di nozze: una Leica. E fu la sua (e nostra) fortuna. La “Ville Lumiere” degli anni ’30 è il centro gravitazionale della scena artistica mondiale. Qui, tra gli alberati boulevard come nei caffè del Quartier Latin si agitava l’influenza di un “modernismo” cha avrebbe cambiato il volto di ogni disciplina artistica. Intellettuali, rifugiati politici, artisti, affollavano le strade di Parigi respirando un’aria di malinconica libertà. Nessuno si sentiva al sicuro, la libertà aveva un gusto amaro per chiunque. Lo aveva per Gerda Taro, che condivideva una stanza nell’appartamento degli Stein, per un giovane ebreo ungherese che da lì a poco avrebbe cambiato nome in Robert Capa e per un rifugiato tedesco che nel dopoguerra sarebbe diventato uno statista, Willy Brandt. Queste erano le amicizie parigine di Fred Stein. Lavorare stabilmente nella Francia di quegli anni per un profugo è pressoché impossibile in assenza di un permesso; gli studi universitari, la laurea in Giurisprudenza a Parigi non valgono nulla e dunque Stein, flâneur per necessità, rispolvera la Leica e gironzola per la città. E fotografa. Il suo stile, maturato molto in fretta, risente della lezione “modernista”, filtrata però da una personale sensibilità in grado di porre in connessione lo spazio urbano con i suoi abitanti, ponendo inconsapevolmente le basi di una fotografia di strada che ancora non ha assunto questa definizione e una vocazione documentaristica che più tardi si sarebbe conclamata nelle ambizioni di gran parte dei fotografi francesi e no. Stein trova a Parigi il suo linguaggio artistico, un segno distintivo che si rivaluterà quando, in fuga dalla Francia occupata, si rifugerà con la famiglia negli Stati Uniti. A New York lo sguardo di Stein si perfeziona, si inoltra nella profondità di una tematica sociale solo apparentemente accennata e nella quale trovano voce – come prima a Parigi – le occasionali incidenze del caso sulla quotidianità all’incrocio di un rigorismo formale ricco però di sentimento. Le fotografie di Fred Stein – tra l’altro vorrei ricordare la sua eccellente attività di ritrattista – travalicano il tempo, si impongono al rumore di fondo della contemporaneità: sono dei classici cui ognuno dovrebbe attingere, imparare la lezione e mandarla a memoria. Molti lo hanno fatto. Molti sono diventati grandi.
Giuseppe Cicozzetti
da “Paris portfolios”, New York portfolios”
foto Fred Stein
Germany, 1933. Hitler get the power. Shortly thereafter being a Jew will be a danger, even if you have been a German for generations. Fred Stein (1909-1967) is a young lawyer who would have spent his life in the court of law, if only he had had the faculty, so instead of preparing defensive speeches he put all his life and that of his wife in a suitcase and with her he fled to Paris.
Officially it was a honeymoon, but they never returned to that hateful Germany. In Paris, Stein brought a few things with him: his youth, his socialist commitment, a degree in law that could not be used in France and a wedding present: a Leica. And it was his (and our) luck. The "Ville Lumiere" of the 1930s is the gravitational center of the world art scene.
Here, among the tree-lined boulevards as in the cafés of the Latin Quarter, the influence of a "modernism" that would have changed the face of every artistic discipline was stirred. Intellectuals, political refugees, artists, crowded the streets of Paris breathing an air of melancholy freedom. No one felt safe, freedom had a bitter taste for anyone.
It had it for Gerda Taro, who shared a room in the Stein apartment, for a young Hungarian Jew who would soon change his name to Robert Capa and to a German refugee who would become a statesman after the war, Willy Brandt. These were Fred Stein's Parisian friendships.
Working permanently in France in those years for a refugee is almost impossible in the absence of a permit; university studies, a law degree in Paris are worthless and therefore Stein, flâneur out of necessity, dusts off the Leica and wanders around the city. And photographer. His style, matured very quickly, reflects the lesson "modernist", but filtered by a personal sensitivity able to connect the urban space with its inhabitants, unconsciously laying the foundations of a street photography that has not yet taken this definition is a documentary vocation that would later be claimed in the ambitions of most French and non- photographers.
Stein finds his artistic language in Paris, a distinctive sign that will be appreciated when, fleeing occupied France, he takes refuge with his family in the United States. In New York, Stein's gaze is perfected, he goes into the depth of a social theme that is only apparently mentioned and in which the occasional incidence of the case on everyday life finds its voice - as before in Paris - at the intersection of a formal rigor, rich in sentiment. Fred Stein's photographs - among other things I would like to mention his excellent portraitist activity - go beyond time, impose themselves on the background noise of contemporaneity: they are classics that everyone should draw from, learn from the lesson and memorize it. Many did it. Many have become great.
Giuseppe Cicozzetti
from “Paris portfolios”, New York portfolios”
ph. Fred Stein