FOTOTECA SIRACUSANA
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SCRIPTPHOTOGRAPHY
Massimo SIRAGUSA (IT)
MASSIMO SIRAGUSA
La fotografia è uno spazio di realtà racchiuso in un rettangolo. Per quanto semplice possa sembrare questa definizione (noi lasciamo che siano i fotoamatori ad arricchirla di allusioni romantiche che scivolano presto in luoghi comuni), la verità è tutta qui; e la cosa più difficile nella fotografia è rimanere semplici. Tuttavia riempire il “rettangolo” con una buona composizione è impresa che necessità di esperienza, sensibilità e la sicurezza di possedere una buona storia da raccontare.
A questi elementi si aggiunge il “linguaggio”, il metodo cioè con il quale si intende raccontare. Ogni fotografo ha il suo, al pari di uno scrittore e di qualunque altro artista. In un periodo come il nostro, nel quale l’abbondanza bulimica della produzione fotografica finisce inevitabilmente nell’omologazione delle tecniche e delle espressioni, il linguaggio per un fotografo è vitale per smarcarsi dalla massificazione della comunicazione.
Non fa eccezione il fotografo siciliano Massimo Siragusa, cui notiamo avere assorbito la lezione di Luigi Ghirri. Ma prima di cadere nelle spire di un manierismo spersonalizzante, lo vediamo farne tesoro e staccarsene per raggiungere una cifra espressiva che lasci libertà alla sua voce. Le fotografie di Massimo Siragusa posseggono una paternità inconfondibile. Eppure attorno alle sue immagini aleggia come qualcosa di antico, un respiro che in un gioco di citazioni (Ghirri, appunto, o solo tangenzialmente Giacomelli), rimanda alla più nobile stagione della Storia dell’Arte. (Si osservi, a questo proposito, la magnifica fotografia della Cappella degli Scrovegni). Omaggi che avvertiamo nel rigoroso rispetto della prospettiva, le cui linee paiono obbedire a un disegno deciso dal fotografo, una ragnatela ordinata e le cui linee architettoniche sono spogliate degli orpelli che ne avrebbero appesantito l’ordito e che declinano in una originalissima forma Neorinascimentale. Non c’è dubbio che il merito sia di un sapiente gioco di sovraesposizioni – Siragusa dimostra di sapersi destreggiare con la luce con sicura abilità – nel quale la risultante è uno spiazzante minimalismo estetico che racconta molto più di quanto è stato sottratto. Il reale dunque dialoga con l’immaginario nel quale i volumi acquisiscono sembianze fantastiche, sicché quanto conosciamo in forma di urbanizzato, di luoghi deputati alla frequentazione dell’uomo, assumono forme a cui siamo invitati alla sfida di una nuova decifrazione. Nondimeno appaiono sotto una luce nuova le opere dell’uomo: che si tratti di una fabbrica, di un cantiere navale non c’è immagine che non sappia svincolarsi dall’immaginario comune per proiettarsi delicatamente in una dimensione irreale da cui il manufatto esce sotto una luce nuova, originale e, per voler utilizzare un aggettivo sdrucciolevole, bella.
Giuseppe Cicozzetti
foto Massimo Siragusa
Photography is a space of reality enclosed in a rectangle. As simple as this definition may seem (we let the amateur photographers enrich it with romantic allusions that soon slip into commonplaces), the truth is all here; and the hardest thing in photography is to stay simple.
However, filling the "rectangle" with a good composition is a matter that needs experience, sensitivity and the certainty of having a good story to tell.
To these elements we add the "language", the method with which we intend to narrate. Every photographer has his own, like a writer and any other artist.
In a period like ours, in which the bulimic abundance of photographic production inevitably ends up in the homogenization of techniques and expressions, the language for a photographer is vital to get rid of the massification of communication.
No exception is the Sicilian photographer Massimo Siragusa, whose note we have absorbed the Luigi Ghirri’s lesson.
But before falling into the turns of a depersonalizing mannerism, we see it treasure and detach itself to reach an expressive figure that leaves freedom to his voice. The photographs of Massimo Siragusa possess an unmistakable paternity. Yet around his images hovers like something ancient, a breath that in a game of quotes (Ghirri, in fact, or just tangentially Giacomelli), refers to the History of Art’s noblest season.
(Observe, in this regard, the magnificent photograph of the Scrovegni Chapel). Homages that we feel in strict observance of the perspective, whose lines seem to obey a design decided by the photographer, an orderly cobweb and whose architectural lines are stripped of the frills that would have weighed down the warp and that decline in an original Neo-Renaissance style.
There’s no doubt that the merit is a wise play of overexposure - Siragusa proves to know how to juggle with light with certain skill - in which the resulting is an unsettling aesthetic minimalism that tells much more than it was stolen. The real therefore dialogues with the imaginary in which the volumes acquire fantastic features, so that what we know in the form of urbanization, of places designated for the frequentation of man, take forms to which we are invited to the challenge of a new decipherment.
Nevertheless, the works of man appear in a new light: whether it is a factory, a shipyard, there is no image that does not know how to disengage itself from the common imagination to project itself delicately into an unreal dimension from which the artefact comes out under a light new, original and, to want to use a slippery adjective, beautiful.
Giuseppe Cicozzetti
ph. Massimo Siragusa