FOTOTECA SIRACUSANA
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SCRIPTPHOTOGRAPHY
Steve SCHAPIRO (USA)
STEVE SCHAPIRO
Testimoniare per non dimenticare la Storia. E i suoi interpreti. Ha detto, con una chiarezza che deve fare riflettere: “Cerco sempre l’immagine che trasmetta lo spirito della persona. Allo stesso tempo, come fotoreporter, voglio creare un’immagine in modo che le persone capiscano di quale notizia si tratti”. Steve Schapiro ha osservato il mondo intorno a lui, ai momenti chiave della storia e della cultura americana i cui riflessi avrebbero fortemente influenzato ogni campo della politica, del cinema, delle lettere. I protagonisti delle fotografie di Schapiro non sono semplici personaggi. Non lo sono i politici – qui vediamo Martin Luther King durante la marcia da Selma a Montgomery e alcune immagini della campagna elettorale di Robert Kennedy – che incarnano al di là della loro stessa persona i motivi di una speranza, ma anche attori e cantanti le cui interpretazioni hanno arricchito il patrimonio culturale di ognuno di noi. Come fotografo di scena Steve Schapiro ha raccontato per immagini produzioni memorabili, con fotografie che grazie al guizzo creativo sono diventate il manifesto di un cinema che ha fatto la storia. Ecco che una fotografia come quella di Hoffman e Voight, indimenticabili interpreti di “Un uomo da marciapiede”, mentre si affacciano furtivamente verso una New York che non intende mantenere le promesse, appare nella sua forza descrittiva di due reietti incapaci, nonostante le intenzioni, di unire i loro destini. Ma nelle fotografie non c’è solamente l’obiettivo di rappresentare qualche immagine destinata a veicolare la produzione e convincere la distribuzione ad acquistarne i diritti di diffusione. C’è qualcosa ancora. C’è ad esempio, e lo cogliamo nella rilassatezza dell’out stage delle foto scattate agli attori, il desiderio di raccontare il momento e di farlo avendo in mente l’assunto di Jean-Luc Godard: “La fotografia è la verità e verità a ventiquattro volte al secondo”. Si potrà o no essere d’accordo con il regista francese ma nelle fotografie di Steve Schapiro si respira un’onestà simile al vero, dove l’ufficialità dell’impegno deroga volentieri nelle pieghe del backstage, lì dove i nostro occhio si compiace della singolarità, della curiosità, delle espressioni rilassate di Marlon Brando al trucco mentre sfida la concentrazione di due giovani praticamente agli esordi: uno è il giovane Al Pacino, l’altro, seduto con lo script tra le mani è Francis Ford Coppola. Il film è “Il Padrino”. La stessa vena di raccontare il non visto, producendo in noi lo spazio della sorpresa per qualcosa che abbiamo in mente come un monolite, si ripete a ogni set. Da “Chinatown”, l’hard boiled di Roman Polanski a “Taxi Driver”. Qui, in poche immagini, vediamo DeNiro maturare il personaggio: il taxi è in partenza per una notte senza confini, livida. Dietro è seduto lo stesso regista, Martin Scorsese, che nel film interpreta uno dei tanti squilibrati di cui la città farebbe a meno. Dopo, una sola fotografia è sufficiente per conclamare l’avvenuta trasformazione omicida di Travis Bickle: DeNiro, sorride, è beffardo; ha smesso di chiedersi “are you talkin’to me” e ora non promette nulla di buono. Alle spalle il taxi posteggiato lo attende per condurlo verso la carneficina. Schapiro, quando intende fotografare una celebrità ingaggia una sfida che permetta di cogliere l’essenza del soggetto. La fotografia di una giovane Barbra Streisand, dice proprio questo: un profilo irregolare trasmette sicurezza, una personalità incorruttibile in un mondo che sempre più si consegna all’apparenza. Come l’esedra in cui ha posto Andy Warhol e i Velvet Underground: guardate alle spalle di Warhol: all’esterno, come a comunicare tra i due mondi, c’è Lou Reed, un altro genio. La disordinata rilassatezza con cui Schapiro riprende Truman Capote, sdraiato e ancora vestito su un letto d’albergo mentre fuma una sigaretta, ci rimanda a una pausa, a una momentanea interruzione di quel capolavoro di letteratura investigativa che è “A sangue freddo”. Le fotografie spesso nascondono, non sempre dicono la verità, più spesso sono incline alle bugie; altre volte raccontano con generosità, a patto che dietro la fotografia vi sia un fotografo che ami dire la verità. Infine, come a ristabilire la precarietà di qualunque convinzione, una fotografia ci ricorda che “il peggio deve ancora venire”. Ha ragione. Di tempi peggiori ne abbiamo già visti. Uno è ancora in corso.
Giuseppe Cicozzetti
foto Steve Schapiro
Testify not to forget history. And its interpreters. He said, with a clarity that should make you think: "I always look for the image that conveys the spirit of the person. At the same time, as a photojournalist, I want to create an image so that people understand what the news is about. " Steve Schapiro observed the world around him, at the key moments of American history and culture whose reflections would have strongly influenced every field of politics, cinema and literature. The protagonists of Schapiro's photographs are not mere characters. The politicians aren’t - here we see Martin Luther King during the march from Selma to Montgomery and some images of Robert Kennedy's election campaign - who embody beyond their own person the reasons for a hope, but also actors and singers whose interpretations have enriched the cultural heritage of each of us. As a still photographer Steve Schapiro recounted memorable productions through images, with photographs that thanks to the creative flicker have become the manifesto of a cinema that has made history. Here is a photograph such as that of Hoffman and Voight, unforgettable performers of "Midnight Cowboy", while stealthily looking towards a New York that does not intend to keep its promises, appears in its descriptive force of two outcast who are unable, despite their intentions, to unite their destinies. But in the photographs, there is not only the aim of representing some images intended to convey production and convince the distribution to purchase the diffusion rights. There is still something. For example, there is the desire to tell the moment and to do so with the assumption of Jean-Luc Godard in the relaxation of the out stage of the photos taken of the actors: “Photography is truth and truth twenty-four times a second”. You may or may not agree with the French director but in Steve Schapiro's photographs you can breathe honesty similar to the real, where the official commitment willingly derogates in the folds of the backstage, where our eye is pleased with the singularity , the curiosity, the relaxed expressions of Marlon Brando to make-up while challenging the concentration of two young people practically at the beginning: one is the young Al Pacino, the other, sitting with the script in his hands is Francis Ford Coppola. The film is "The Godfather". The same vein of telling the unseen, producing in us the space of surprise for something we have in mind like a monolith, is repeated at each set. From "Chinatown", Roman Polanski's hard boiled to "Taxi Driver". Here, in a few images, we see DeNiro mature the character: the taxi is leaving for a night without borders, livid. Behind it sits the same director, Martin Scorsese, who in the film plays one of the many deranged that the city would do without. Afterwards, a single photograph is sufficient to proclaim Travis Bickle's murderous transformation: DeNiro, smiles, is mocking; has stopped asking "are you talkin’to me" and now doesn’t promise anything good. Behind him, the parked taxi awaits him to lead him to the carnage. When Schapiro intends to photograph a celebrity, he engages in a challenge that allows him to grasp the essence of the subject. The photograph of a young Barbra Streisand says just that: an irregular profile conveys safety, an incorruptible personality in a world that increasingly gives itself over in appearance. Like the exedra in which Andy Warhol and the Velvet Underground have placed: look behind Warhol: outside, as if to communicate between the two worlds, there’s Lou Reed, another genius. The disordered relaxation with which Schapiro takes Truman Capote, lying and still dressed on a hotel bed while smoking a cigarette, refers us to a pause, to a temporary interruption of that investigative literature masterpiece which is "In Cold Blood". Photographs often hide, they don't always tell the truth, more often they are prone to lies; other times they tell generously, as long as there is a photographer behind the photograph who loves to tell the truth. Finally, as if to restore the precariousness of any belief, a photograph reminds us that "the worst is yet to come". He is right. We have already seen worse times. One is still ongoing.
Giuseppe Cicozzetti
ph. Steve Schapiro