FOTOTECA SIRACUSANA
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Kumi OGURO (JAP)
KUMI OGURO
“Figlio tra figli di Ipno è Morfeo creatore di sogni, che al sonno strappò bruttura di morte e rende le notti dell’uomo ricche di pensieri segreti. L’inconscio ci parla ma tende imboscate; e poi che notte arriva a dare ristoro, furtivo, che da ladro supremo ha preso lezione, vi spaglia frammenti di vero più veri del vero. Dilaga l’inconscio, mestatore di segni e all’uomo dormiente gli occhi spalanca sul baratro nero della coscienza, ove egli incontra se stesso come mai visto prima”. Le fotografie di Kumi Oguro, giovane fotografa giapponese trapiantata in Belgio, nascono come un diario d’appunti sul quale annotare la misteriosa e inquietante attività onirica. Si dice che i sogni che ricordiamo siano proprio quelli vicino alle ore del risveglio, quasi a volerci costringere a fare i conti con immagini lontane e nebulose come una sciarada tra i cui segni però è già contenuta la soluzione, perché la chiave d’ogni sogno è già in nostro possesso. Ed è in questa sottile transitorietà temporale, in questo affiorante diaframma poroso tra il sonno e la veglia che Kumi Oguro esplora desideri e ossessioni. Forse le sue. Non sappiamo. Sappiamo tuttavia che nei sogni abitano ossessioni comuni, rese personali dal vissuto d’ognuno, ma poiché siamo tutti “abitanti sotto lo stesso sole” non è difficile determinare come nella ripetizione onirica vi sia come una “sociologia nascosta” che lega il nostro inconscio. Pertanto non mi sorprenderei se tra gli incubi “riusciti” di Kumi Oguro ve ne fosse qualcuno di cui condividere il mistero. La scena del sogno è, come si può notare, spoglia, essenziale. E sebbene molti dettagli siano riconoscibili – una finestra, una botola, del ghiaccio – restano quasi in secondo piano, come se l’autrice volesse concentrarsi proprio sulla centralità dei soggetti, che però e per la maggioranza delle immagini non sono mai ritratti nella loro integrità, assumendo loro stessi il rango d’un dettaglio, di una parte del tutto che invece sta nell’altrove della coscienza vigile. Il tema affrontato da Kumi Oguro è complesso e delicato e alla simbologia è affidato il compito di complicarne l’interpretazione: ora sono i capelli a interrogarci, ora il colore rosso – presente nei drappi, negli abiti, in fili e in forma di chiazze ematiche –, poi i toni del blu; infine il buio, profondo come il mistero. Siamo dalle parti della veglia, il cosciente non ha ancora preso il sopravvento sull’inconscio ma qui ne vediamo gli ultimi sviluppi, tra le intorbidazioni che ancora non ci permettono di “ricordare” con sufficiente lucidità e quindi stabilire se quanto abbiamo sognato non appartenga alla categoria degli incubi. A volte lo è, a volte no. Non abbiamo certezze. Tranne una: un buon sogno è quello che si fa a occhi aperti.
Giuseppe Cicozzetti
foto Kumi Oguro
"Son of the children of Hypnos is Morpheus the creator of dreams, which snatched the ugliness of death from sleep and made man's nights full of secret thoughts. The unconscious speaks to us but ambushed curtains; and then that night arrives to give refreshment, furtive, which has taken a lesson as a supreme thief, scatters fragments of truth more true than truth. The unconscious, sign-taker, is rampant and the sleeping man's eyes open wide on the black abyss of consciousness, where he meets himself as never seen before". The photos of Kumi Oguro, a young Japanese photographer based in Belgium, are born as a note diary on which to note the mysterious and disturbing dreamlike activity. It is said that the dreams we remember are precisely those close to the awakening hours, as if to force us to deal with distant and nebulous images like a charade among whose signs, however, the solution is already contained, because the key to every dream is already in our possession. And it’s in this subtle temporal transience, in this porous diaphragm between sleep and wakefulness, that Kumi Oguro explores desires and obsessions. Maybe her own. We don’t know. We know, however, that common obsessions live in dreams, made personal by each one's experience, but since we are all "inhabitants under the same sun" it is not difficult to determine how in the dreamlike repetition there is like a "hidden sociology" that binds our unconscious. Therefore I would not be surprised if among the "successful" nightmares of Kumi Oguro there was someone to share the mystery with. The dream scene is, as you can see, bare, essential. And although many details are recognizable - a window, a trap door, some ice - they remain almost in the background, as if the author wanted to focus precisely on the centrality of the subjects, which however and for most of the images are never portrayed in their entirety assuming themselves the rank of a detail, of a part of the whole which instead lies elsewhere in the conscious awareness. The theme faced by Kumi Oguro is complex and delicate and the symbolism is entrusted with the task of complicating its interpretation: now it is the hair that questions us, now the red color - present in the drapes, in the clothes, in threads and in the form of blood spots -, then the shades of blue; finally the darkness, deep as the mystery. We are on the waking part, the conscious has not yet taken over the unconscious but here we see the latest developments, among the turbidity that still do not allow us to "remember" with sufficient clarity and therefore establish if what we dreamed of does not belong to the nightmare category. Sometimes it is, sometimes it is not. We have no certainties. Except one: a good dream is what you do with your eyes open wide.
Giuseppe Cicozzetti
ph. Kumi Oguro