FOTOTECA SIRACUSANA
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SCRIPTPHOTOGRAPHY
Paulo NOZOLINO (PT)
PAULO NOZOLINO
Non sempre le fotografie sanno gestire l’oscurità fino a renderla brillante. Accade, ma è raro. Più spesso le osserviamo nell’equilibrio di luci e ombre o impegnate nella risoluzione d’una relazione che metta ordine nel dosaggio tra composizione e racconto. Le fotografie del portoghese Paulo Nozolino rispondono proprio a quel genere raro, e direi ardito, che ha scelto l’oscurità come cifra fondante d’un linguaggio e una volta eletta lascia che irrompa per dilagare. Ma c’è qualcosa in più. Se, come si è detto, la fotografia obbedisce alla vocazione di raccontare ciò che incontra, le fotografie di Nozolino rinunciano a una narrativa per somigliare a delle brevi annotazioni, come appunti scritti di getto su un quaderno. Ma eliminare il racconto dalle fotografie vorrebbe dire snaturare la sua stessa ontologia – almeno finché la crisi non si risolve su un altro piano di lettura, quello di una composizione che basti a se stessa. Questo è il caso del lavoro di Nozolino. Le sue fotografie ci arrivano come un grido lontano, un urlo opaco che ci scuote obbligandoci a chiederci perché le sue fotografie hanno il potere di sedurci. Provo io a offrire una risposta. Le foto che vediamo, e che abbiamo imparato ad apprezzare, restituiscono la pienezza d’un mistero abbagliante, lucido e controllato. Qui non c’è nessun “momento decisivo”, non c’è quell’attimo in cui tutto, cuore, occhio e mente corrono ad allinearsi; qui c’è piuttosto un ribaltamento di consegne, una specie di modulata insofferenza verso la teatralità della vita, tanto che (salvo rarissimi casi che tuttavia non scalfiscono l’assunto guida), i soggetti ci sembrano colti in una casualità e secondo una disposizione che pare esaltare la banalità dell’inconsistente e trasformarla in ruvidi sketches. C’è, inoltre un leggero senso di vuoto, come una sospensione temporale che aleggia tutto intorno i paesaggi urbani come i volti e le sagome dei soggetti. C’è, è vero, ma questa sensazione è subito mitigata da un’oscurità che sa farsi brillante e che in molti casi diventa il vero “punctum” dell’immagine. Noi a quello guardiamo, a quel bagliore che arriva da lontano come prima il grido. Lo stile di Paulo Nozolino è ruvido, spesso urticante, certamente efficace. Nelle sue foto poche, pochissime sono le concessioni per così dire “calligrafiche”, tutto deve essere lasciato nella sua forma più grezza, come se da questa ci aspettassimo una successiva rifinitura che non arriverà, perché lo stile fotografico così ha voluto e ha stabilito i suoi canoni. E in questo notiamo una certa purezza. Paulo Nozolino è un vagabondo dell’immagine, un flâneur che ama aggirarsi nell’imponderato quotidiano collezionando visioni. Lui le raccoglie, le interpreta per noi e le offre perché possiamo condividere con lui l’ebbrezza d’avere ascoltato, seppur solo per un momento, la bellezza di un grido che arriva da lontano.
Giuseppe Cicozzetti
da “Far Cry”; “Penumbra”; “Loaded Shine”
foto Paulo Nozolino
Photographs don’t always know how to manage darkness until it becomes bright. It happens, but it’s rare. More often we observe them in the balance of lights and shadows or engaged in the resolution of a relationship that puts order in the dosage between composition and story. The photographs of the Portuguese Paulo Nozolino respond precisely to that rare, and I would say daring, genre that chose darkness as the foundation of a language and, once elected, lets it burst to spread. But there’s something more. If, as has been said, photography obeys the vocation of telling what it encounters, Nozolino's photographs renounce a narrative to resemble short notes, like notes written straight from a notebook. But eliminating the story from the photographs would mean distorting its own ontology - at least until the crisis resolves itself on another reading plane, that of a composition that is sufficient in itself. This is the case with Nozolino's work. His photographs come to us like a distant cry, a dull scream that shakes us forcing us to ask ourselves why his photographs have the power to seduce us. I try to offer an answer. The photos that we see, and that we have learned to appreciate, return the fullness of a dazzling, lucid and controlled mystery. Here there is no "decisive moment", there is not that moment in which everything, heart, eye and mind run to align; here there is rather a reversal of deliveries, a kind of modulated intolerance towards the theatricality of life, so much so that (except for very rare cases that do not however scratch the assumed guide), the subjects seem caught in a randomness and according to a disposition that it seems to enhance the banality of the inconsistent and transform it into rough sketches. There is also a slight sense of emptiness, like a temporal suspension that hovers all around urban landscapes such as the faces and silhouettes of the subjects. There is, it is true, but this feeling is immediately mitigated by a darkness that knows how to become bright and which in many cases becomes the true "punctum" of the image. We look at that, at that glow that comes from afar as before the cry. Paulo Nozolino's style is rough, often stinging, certainly effective. In his photos few, very few are the so-called "calligraphic" concessions, everything must be left in its crudest form, as if we expected a subsequent finishing from this that will not come, because the photographic style so wanted and established the his canons. And in this we notice a certain purity. Paulo Nozolino is a tramp of the image, a flâneur who loves to wander in the imponderate daily by collecting visions. He collects them, interprets them for us and offers them so that we can share with him the thrill of having listened, even if only for a moment, to the beauty of a cry that comes from afar.
Giuseppe Cicozzetti
from “Far Cry”; “Penumbra”; “Loaded Shine”
ph. Paulo Nozolino