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Ugo MULAS (IT))
UGO MULAS
Da studente Ugo Mulas (28 agosto 1928 - 2 Marzo 1973) bivaccava nel cuore bohémien di una Milano che non esiste più e che gravitava intorno ai tavoli del bar Jamaica, a Brera. E’ stata la sua fortuna. Qualcuno gli mette in mano una macchina fotografica e gli dice: “Al sole fai così e così, all’ombra così e così”. Questa è stata la sola lezione ricevuta, poi le lezioni le ha date lui. Non si fermerà più. Di lui ha detto Giulio Carlo Argan che fu “il primo a mettere ordine in quella landa desolata che è la fotografia”, perché Mulas ha studiato a fondo la struttura del linguaggio fotografico in rapporto alla rappresentazione artistica. Per Mulas una fotografia non era soltanto una testimonianza, era la continuazione di un aspetto della cultura di massa che ne esclude la fissazione in immagine e dunque la sua riduzione a oggetto. Bianco e nero. Rigorosissimo. Sempre. Nella sua visione della realtà non c’era posto per il colore. Il bianco e nero avvicina all’astrazione, è più ideologico, concettuale. “Il colore” ha detto Mulas “sembra più falso proprio perché dal colore ci si aspetta la verità”. Ma dalle “equivalenze”, dalla traduzione cioè dal colore del reale al bianco e nero dell’astrazione, Mulas estrae una gamma grigio-nero così perfettamente calibrata da diventare colore essa stessa, e con una potenza realistica al cui confronto il colore ne esce battuto.
Mulas si assegna il compito di individuare la realtà e alla macchina quello di registrarla nella sua complessità. Queste due operazioni, apparentemente distinte ma strettamente interconnesse, richiamano alla mente alcune pratiche percorse dagli artisti già negli anni Venti del secolo scorso – si pensi alle opere di Marcel Duchamp, agli oggetti di Man Ray – dai cui lavori apprendiamo che l’intervento dell’artista era del tutto irrilevante sotto il profilo operativo, consistendo nell’individuazione concettuale – e nella sua realizzazione – di una realtà già materializzata che bastava soltanto indicare perché prendesse a vivere in una dimensione di alterità. L’oggetto dunque cominciava a inserirsi in una “sfera ideale”, sganciata per sempre dal mondo delle cose.
E Ugo Mulas amava l’arte, i suoi interpreti più visionari che fotografò al chiuso dei loro studi, proprio mentre erano nel pieno del fermento creativo (di Fontana di concentrerà sull’atto finale, il taglio della tela, tralasciando ogni passaggio intermedio che ne aveva scandito la conclusione) oppure invitandoli a un gioco colmo di ironia quanto riuscito (si osservi la fotografia in cui Roy Lichtenstein sembra egli stesso parte di una sua produzione; o Alberto Giacometti ritratto accanto alle sculture a cui somiglia fatalmente; o ancora Man Ray ritratto vicino a un quadro la cui provocazione sta già nel titolo,“ça c’est mon dernier tableau”). Di Duchamp, che Mulas ritrasse a New York, cogliamo quella ammirazione che sta nella trama dei medesimi interessi; mentre le foto di Andy Warhol ci restituiscono intatti il fervore creativo e il clima informale della “Factory”.
Ecco, Mulas è stato testimone del genio. E come per affermare un suo ruolo nel grande campo della creazione, ritraeva se stesso accanto alle opere d’arte quasi a stabilire un ponte interpretativo tra le discipline artistiche, come l’immagine che lo vede mentre scatta davanti a un opera di Michelangelo Pistoletto o mentre tiene in mano una “scultura da viaggio” di Alexander Calder. E ancora Jasper Johns, Schifano, Burri, De Chirico. Altri ancora, d’altre discipline, ma trasportati in uno spazio inconsueto, nuovo e che ha la forza di confonderci: Eugenio Montale (di cui Mulas illustrerà “Ossi di seppia”) che pare dialogare con un uccello in un delicatissimo dialogo di silenzio; un John Cage pensoso e arrendevole; e un Totò scarnificato dalla sua maschera e restituito in una dimensione espressionista, ma più vicina al vero del vero stesso.
Si è detto, a proposito di Ugo Mulas, che del suo lavoro non si può scrivere, che tutto quanto c’è da dire l’ha detto lui stesso. Noi invece diciamo che Ugo Mulas – non ce ne vogliano i suoi colleghi – è il più grande tra i fotografi italiani e, con altrettanta sicurezza, tra i più grandi al mondo.
Giuseppe Cicozzetti
foto Ugo Mulas
When he was a student, Ugo Mulas (August 28, 1928 - March 2, 1973) hang aroung in the bohemian heart of a Milan that no longer exists and gravitated around the tables of the Jamaica bar, in Brera.
It was his luck. Someone puts a camera in his hand and tells him: "In the sun do so and so, in the shadow do so and so". This was the only lesson received, then the lessons he gave him.
He’ll never stop. The art historian Giulio Carlo Argan said of him that he was "the first to put order in that desolate wilderness that is photography", because Mulas has thoroughly studied the structure of photographic language in relation to artistic representation.
For Mulas, a photograph was not just a testimony, it was the continuation of an aspect of mass culture that excludes its fixation in images and therefore its reduction to an object. Black and white.
So rigorous. Always. In his vision of reality there was no place for color. Black and white approaches abstraction, it’s more ideological, conceptual. "The color" Mulas said "seems more false because the truth is expected from color".
But from the "equivalences", from the translation that is from the color of the real to the black and white of the abstraction, Mulas extracts a gray-black range so perfectly calibrated to become color itself, and with a realistic power in comparison with which the color comes out beaten.
Mulas assigns the task of identifying reality and the machine to register it in its complexity.
These two operations, apparently distinct but closely intertwined, recall to mind some of the practices of artists in the twenties of the last century - think of the Marcel Duchamp’s works, the Man Ray’s objects - from whose work we learn that the intervention of artist was completely irrelevant from the operational point of view, consisting in the conceptual individuation - and in its realization - of an already materialized reality that was enough to indicate only why it took to live in a dimension of otherness.
The object therefore began to fit into an "ideal sphere", forever disengaged from the world of things.
And Ugo Mulas loved art, its most visionary interpreters who photographed at the close of their studies, just as they were at the height of the creative ferment (Fontana will concentrate on the final act, cutting the canvas, leaving aside any intermediate step that he had punctuated the conclusion) or inviting them to a game full of irony (see the photograph in which Roy Lichtenstein himself appears to be part of one of his productions, or Alberto Giacometti portrayed next to the sculptures to which he resembles fatally; close to a painting whose provocation is already in the title, "ça c'est mon dernier tableau").
Of Duchamp, whom Mulas portrayed in New York, we grasp the admiration that lies in the plot of the same interests; while the photos of Andy Warhol give us back the creative fervor and the informal atmosphere of the "Factory".
So, Mulas was a witness to the genius. And as if to affirm his role in the great field of creation, he portrayed himself alongside works of art as if to establish an interpretative bridge between the artistic disciplines, such as the image he sees while shooting in front of a work by Michelangelo Pistoletto or while he is holding a "travel sculpture" by Alexander Calder.
And again Jasper Johns, Schifano, Burri, De Chirico. Others, of other disciplines, but transported in an unusual, new space that has the strength to confuse us: Eugenio Montale (of whom Mulas will illustrate "Ossi di seppia") that seems to dialogue with a bird in a delicate dialogue of silence; a thoughtful and yielding John Cage; and a Totò discharged from his mask and returned in an expressionist dimension, but closer to the truth of the true itself.
It has been said, with regard to Ugo Mulas, that one can not write about his work, that everything he has to say has said it himself. We instead say that Ugo Mulas - do not offend his colleagues - is the largest among Italian photographers and, with equal security, among the largest in the world.
Giuseppe Cicozzetti
ph. Ugo Mulas