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Davide MONTELEONE (Italia)
DAVIDE MONTELEONE
Alla periferia di una città le voci del centro giungono flebili, svuotate della carica entusiastica e tradotte con la lingua della disillusione. Alla periferia di una Nazione la propaganda nazionalista della ripresa economica, del benessere e dell’ottimismo neocapitalista suona beffardo come qualcosa cui non è possibile accedere, un ballo al quale non sì è invitati. Realtà deformate da uno specchio che riflette solo ciò che vuole, sfumando ai lati l’immancabile numero di esclusi. Nel 1985 Richard Avedon, con “In the American West”, ci ha mostrato i volti dimenticati ma presenti di un’America scivolata fuori dalla narrativa mainstream. Figure silenziose ma prepotentemente loquaci e che raccontavano tutt’altra storia, quella degradata, dura e nemmeno tanto disposta a credere che il dio citato nel dollaro fosse davvero dalla loro parte. Vagabondi, driftes, operai delle compagnie petrolifere, disoccupati, camerieri, bariste raccontavano attraverso i loro volti la difficoltà del vivere, le asprezze del sogno americano: Richard Avedon ha scritto la “Spoon River” dei vivi. Il fotografo lucano Davide Monteleone, che da anni vive in Russia, cita già nel titolo il lavoro di Avedon, “In the Russian East”, ripercorrendo il solco di una narrazione che si rinnova su fasce di popolazione per gli effetti di una politica il cui messaggio non approda né tantomeno ha capacità di attecchire via via che si allontana dal suo centro. E con il grande fotografo americano condivide lo stabilirsi di un’empatia con i soggetti che invece non si trova nel pur importante lavoro di Nathan Farb, il quale in “The Russians” fa rimbalzare i soggetti ritratti verso una scoperta di tipo antropologico, come mostrare gli abitanti di una galassia lontana e sconosciuta. Monteleone ha percorso il territorio della “Grande Madre Russia” spingendosi alla periferia della dissoluzione dell’Impero, dove i roboanti echi nazionalisti faticano a essere percepiti. Ne viene fuori un lavoro che oltre ad avere i contorni di una cartografia dell’umano è, come nel caso di Avedon, il canto spietato di un disinganno che si articola uniformemente nelle comunità religiose, nelle diverse comunità etniche delle società civile e militare. Una “mappatura”, termine che non piace ma che risulta efficace. Ma non una mappatura di carattere antropologico quanto un’escursione profonda nella sensibilità del “margine”, come un viaggio al termine dell’inganno. “In the Russian East” è dominato da un senso risarcitorio che va nella direzione di una restituzione dignitaria a quanti sono stati esclusi o semplicemente sfiorati da un benessere economico che non intende redistribuire i suoi frutti improvvisi e forse non ne ha nemmeno l’intenzione. Ha detto l’economista Joseph Stieglitz che “il Capitalismo non conosce che se stesso e più che nella ricchezza si riconosce nella creazione della povertà”. Dunque il Capitalismo ha bisogno di vittime, di nuovi poveri, di esclusi. A ogni latitudine. In ogni Paese. In mezzo si arranca, si “continua a continuare” come una forma di resistenza, lottando per non divenire la cifra statistica di cui necessita il Capitalismo. Monteleone si assegna il compito di mostrare. Vive in Russia da anni e forse, come tutti coloro che guardano le cose a una distanza, ha uno sguardo imparziale in cui lasciare all’osservatore lo spazio per ogni deduzione e ci consegna un catalogo breve ma assai particolareggiato, incisivo e netto, di un’umanità multiforme e diversificata che si è prestata di buon grado perché la sua voce sia ascoltata. “In the Russian East” dunque non è soltanto un omaggio al lavoro di Avedon, è soprattutto la conferma che talune dinamiche politico-sociali sono immutevoli in America come in Russia, ed è proprio questo a rendere più che mai attuale l’operazione di Davide Monteleone.
Giuseppe Cicozzetti
da “In the Russian East”
foto Davide Monteleone
On the outskirts of a city the voices of the center come faint, emptied of the enthusiastic charge and translated with the language of disillusionment. On the periphery of a nation the nationalist propaganda of economic recovery, welfare and neocapitalist optimism sounds mocking as something that can not be accessed, a dance to which it is not invited. Realities deformed by a mirror that reflects only what it wants, fading to the sides the inevitable number of excluded.
In 1985 Richard Avedon, with "In the American West", showed us the forgotten but present faces of an America slipped out of mainstream fiction. Silent figures but overwhelmingly loquacious and telling a different story, the degraded, hard and not so willing to believe that the god mentioned in the dollar was really on their side. Wanderers, driftes, oil company workers, unemployed, waiters, bartenders told through their faces the difficulty of living, the harshness of the American dream: Richard Avedon wrote his living "Spoon River".
The Italian photographer Davide Monteleone, who has been living in Russia for years, already mentions Avedon's work, "In the Russian East", retracing the path of a narration that is renewed on population groups due to the effects of a policy whose message it does not arrive nor does it have the capacity to take root as it moves away from its center. Monteleone has traveled the territory of the "Great Mother Russia" pushing to the periphery of the dissolution of the Empire, where the roaring nationalist echoes struggle to be perceived.
The result is a work that, in addition to having the outline of a cartography of the human, is, as in the case of Avedon, the ruthless song of a disillusion that is uniformly articulated in the religious communities, in the different ethnic communities of civil and military society. A "mapping", a term that does not like but that is effective.
But not an anthropological mapping as a deep excursion into the sensitivity of the "margin", like a journey at the end of the deception. "In the Russian East" is dominated by a sense of compensation that goes in the direction of a dignified return to those who have been excluded or simply touched by an economic well-being that does not intend to redistribute its sudden fruits and perhaps does not even have the intention.
The economist Joseph Stieglitz said that "Capitalism knows only itself and more than in wealth it recognizes itself in the creation of poverty". So Capitalism needs victims, new poor, excluded. At every latitude. In every country. In the midst he struggles, he "keep on keepin’ on" as a form of resistance, struggling not to become the statistical figure that Capitalism requires. Monteleone assigns the task of showing.
He lives in Russia for years and perhaps, like all those who look at things at a distance, has an impartial look in which to leave space for every deduction to the observer and gives us a short but very detailed catalog, incisive and clear, of a 'multifaceted and diversified humanity that has lent itself willingly for his voice to be heard.
"In the Russian East" is therefore not only a tribute to the work of Avedon, it’s above all the confirmation that some political-social dynamics are unchanging in America as in Russia, and it is precisely this that makes the operation of David Monteleone prevailing more than ever.
Giuseppe Cicozzetti
from “In the Russian East”
ph. Davide Monteleone