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SCRIPTPHOTOGRAPHY

Ahmed MASOM KOUSA            (Siria)   

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AHMED MASOM KOUSA

E’ innegabile come a volte il web sia capace di sorprenderci, come, cioè, possa mettere in contatto persone di cui si ignora l’esistenza fino a un minuto prima e stabilire nell’immediato una curiosità reciproca. E’ accaduto a chi scrive, non più di qualche giorno fa. Un contatto, una piacevole sorpresa. Le fotografie che vedete sono state scattate in un inferno che dura ormai da circa dieci anni e che, nonostante il tiepido interesse della comunità internazionale – o forse a causa del tiepido interesse – non accenna a diminuire. Quello che proprio non diminuisce è il numero di morti (elevatissimo tra i civili) e il desiderio di regnare su quello che è destinato a diventare un “regno di macerie”. Tra bombardamenti e morti, si continua a vivere una vita che vita non è. Questa è la Siria.

Le fotografie che voglio proporvi arrivano da un villaggio siriano. Forse non saranno tra le foto migliori che abbiamo visto, quelle per intenderci dei fotoreporter professionisti, ma rispetto a queste hanno un indiscusso vantaggio, un valore aggiunto che proviene dal fatto che chi le ha scattate è un giovane ragazzo siriano di diciannove anni, il cui nome è Ahmed Masom Kousa. Ha faticato Ahmed per dare sfogo alla sua passione. Laggiù, ad Amouda, non è certo come qui, dove si entra in un negozio e si acquista ciò che si desidera. Ahmed ha risparmiato per due anni e infine ha potuto comprare l’oggetto dei suoi desideri, una macchina fotografica, una Canon, lo strumento che gli avrebbe consentito di iniziare a raccontare una storia che molto spesso non si vuole ascoltare. Ho ricevuto le sue foto e, probabilmente anche voi sentirete lo stesso sentimento che ho provato io, ho subito percepito come dalle immagini trapelasse una forte energia, qualcosa di diretto, l’assenza di ogni filtro. Le ho guardate, una per una, più volte e a ogni visione ho avvertito come lo spirare di una corrente, un po’ come quando d’estate un vento prepotente e benefico si fa largo tra le pareti domestiche. Ho avvertito appunto la stessa freschezza. Eppure il tema è grave, si parla di una guerra e, come dice Ahmed, di quello che la guerra “ha lasciato dietro di sé”. Io ho avvertito personalità e coraggio, il coraggio della scelta. La guerra può essere raccontata in ogni modo ma dalle fotografie di Ahmed apprendiamo come alla tragedia si possa rispondere con la speranza. Anzi, si deve. Così Ahmed, in anticipo sulla sua età, capisce che il modo migliore per comunicare l’orrore è prendersene beffa, opporgli cioè la speranzosa baldanza che vive nei giovanissimi sguardi dei suoi concittadini. E infatti i protagonisti dei suoi scatti sono i bambini, i cui volti, le cui espressioni ci arrivano senza mediazioni né le furberie dei professionisti. Siamo direttamente trasportati nel centro dell’azione. Come ho detto le fotografie forse non saranno perfette – e non lo sono – ma hanno una spontaneità e una vitalità invidiabili, mentre da alcune scorgiamo il sorgere di un talento, perché piene di rimandi noti a noi, ma sconosciuti ad Ahmed il quale ci trasporta nelle viscere di un neorealismo creduto dimenticato ma che invece prospera nei teatri di guerra. Ahmed, con l’ardire dei suoi pochi anni, mi ha chiesto di occuparmene, mi ha chiesto di diffondere il suo grido perché arrivi a un pubblico vasto. Lo faccio. L’ho fatto. E l’ho fatto non solo per assecondare la sua urgenza ma perché nei suoi scatti c’è una materia cruda che va sostenuta, c’è talento. E dovunque c’è talento Scriptphotography è in ascolto. Dunque guardate i bambini di Ahmed, guardateli e pensate come la loro infanzia sia calpestata dagli adulti, come il loro tempo sia stato rovinosamente giocato sull’altare di una politica folle, che loro non comprendono perché non c’è nulla da comprendere. Ahmed ci dice che la speranza c’è. E’ viva. E’ presente. Come il suo talento.

 

Giuseppe Cicozzetti

 

foto Ahmed Masom Kousa

 

https://www.facebook.com/AhmedaPhotos/

It’s undeniable how sometimes the web is able to surprise us, how, that is, it can put in contact people whose existence is ignored up to a minute before and immediately establish a mutual curiosity. It happened to who’s, writing no longer than a few days ago.

A contact, a pleasant surprise. The photographs you see have been taken in a hell that has lasted for about ten years and that, despite the lukewarm interest of the international community - or perhaps because of the lukewarm interest - shows no signs of diminishing. What really does not decrease is the number of deaths (very high among civilians) and the desire to reign over what is destined to become a "kingdom of rubble". Between bombings and deaths, we continue to live a life that life is not. This is Syria.

The photographs I want to offer you come from a Syrian village. Maybe they will not be among the best photos we have seen, those to be clear shooted by professional photojournalists, but compared to these have an undisputed advantage, an added value that comes from the fact that who took them is a young Syrian boy of nineteen, whose name is Ahmed Masom Kousa.

He struggled Ahmed to give vent to his passion. In Amouda isn’t certainly like here, where you enter a shop and buy what you want. Ahmed spared for two years and finally he could buy the object of his desires, a camera, a Canon, the instrument that would allow him to start telling a story that very often does not want to listen. I received his photos and probably you will feel the same feeling that I felt, I immediately perceived as leaking a strong energy, something direct, the absence of any filter.

I looked at them, one by one, several times and at each sight I felt like the wind of a current, a bit like when in the summer a strong and beneficial wind makes its way through the domestic walls. I warned the same freshness. Yet the theme is serious, we talk about a war and, as Ahmed says, of what the war "left behind".

I felt personality and courage, the courage of choice. The war can be told in every way, but from Ahmed's photographs we learn how the tragedy can be answered with hope. Indeed, it must be. So Ahmed, in advance of his age, understands that the best way to communicate the horror is to fleer about it, to oppose it, that is, the hopeful boldness that lives in the very young glances of his fellow citizens.

In fact, the protagonists of his shots are the children, whose faces, whose expressions come to us without mediation or the mischief of professionals. We are directly transported to the center of the action. As I said the photographs may not be perfect - and they are not - but they have an enviable spontaneity and vitality, while some see the emergence of a talent, because full of references known to us, but unknown to Ahmed who transport us in the bowels of a neorealism believed forgotten but which instead thrives in the theaters of war.

Ahmed, with the daring of his few years, asked me to take care of it, he asked me to spread his cry to reach a vast audience. I'm doing. I did it. And I did it not only to comply with his urgency but because in its shots there is a raw material that must be supported, there is talent. And wherever there is talent Scriptphotography is listening.

So look at the children of Ahmed, look at them and think how their childhood is trampled by adults, how their time has been ruinously played on the altar of a mad policy, that they do not understand because there is nothing to understand. Ahmed tells us that hope is there. It is alive. Is present. Like his talent.

 

Giuseppe Cicozzetti

 

ph. Ahmed Masom Kousa

 

https://www.facebook.com/AhmedaPhotos/

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