FOTOTECA SIRACUSANA
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SCRIPTPHOTOGRAPHY
Pascal MANNAERTS (Belgio)
PASCAL MANNAERTS
E’ giovane, è belga e ha le idee chiarissime. Come le sue fotografie. Ha girato il mondo per dieci lunghi anni e ha riportato tutto a casa. Il suo nome è Pascal Mannaerts. Le sue fotografie sono più efficaci di un trattato di antropologia: sono la narrazione dell’uomo e delle sue attività coniugate con uno straordinario linguaggio visivo nel quale il colore è lasciato libero di dilagare.
Paesaggi umani, una cartografia di costumi e vite raccontate da un fotografo che ama il colore e nel quale la figura umana dialoga cromaticamente con la propria terra, in un afflato che suggerisce una reciprocità ormai dimenticata alle nostre latitudini.
Il colore è forte nelle fotografie di Pascal Mannaerts, le tinte riconoscibili non lasciano spazio per le suggestioni liriche di Salgado né per le vertigini cromatiche di Nomachi: qui c’è un uso basico delle tinte a cui viene assegnato il compito di inondare le immagini fino a contendere all’uomo il ruolo di protagonista. Spesso i colori sono terrosi, in altre prevale il pastello, in altre ancora si liberano violenti e gioiosi ma tutti funzionali a un racconto in cui sono schivate l’oleografia fine a se stessa e il facile sbalordimento provocato da suggestioni di terre lontane: qui tutto è restituito nella sua naturalezza, nel quotidiano resistente a una globalizzazione uniformante. Non sorprenda dunque se le fotografie di Pascal Mannaerts producono una inevitabile empatia, un meccanismo di “avvicinamento” con il quale l’osservatore interagisce emotivamente con i soggetti, perché si ravvede il quadro rispettoso di una testimonianza devota persino in immagini dove sembra prevalere una involontaria ironia (si veda la fotografia dell’Indù con il cellulare). Tutto è racconto, come impone la vita e tutto ha dignità di essere raccontato. E tanto meglio se con gli strabilianti colori di Pascal Mannaerts.
Giuseppe Cicozzetti
foto Pascal Mannaerts
He’s young, he’s Belgian and has very clear ideas. Like his photographs. He has traveled the world for ten long years and brought everything back home. His name is Pascal Mannaerts.
His photographs are more effective than a treatise on anthropology: they are the narration of man and his activities conjugated with an extraordinary visual language in which color is left free to spread.
Human landscapes, a cartography of customs and lives told by a photographer who loves color and in which the human figure dialogues chromatically with his own land, in a breath that suggests a reciprocity forgotten in our latitudes.
The color is strong in the photographs of Pascal Mannaerts, the recognizable colors leave no space for the lyrical suggestions of Salgado or for the chromatic vertigo of Nomachi: here there is a basic use of the colors to which the task is assigned to flood the images up to contend for man the leading role.
Often the colors are earthy, in others the pastel prevails, in others still they are liberated violent and joyful but all functional to a story in which the oleography is an end in itself and the easy bewilderment provoked by suggestions of distant lands: here everything it is returned in its naturalness, in the everyday resistant to a homologating globalization.
Do not be surprised, then, if Pascal Mannaerts' photographs produce an inevitable empathy, an "approach" mechanism with which the observer interacts emotionally with the subjects, because he respects the respectful picture of a devoted witness even in images where an involuntary seems to prevail. irony (see the photograph of the Hindu with the cell phone). Everything is a story, as life imposes and everything has the dignity to be told. And much better if with the amazing colors of Pascal Mannaerts.
Giuseppe Cicozzetti
ph. Pascal Mannaerts