FOTOTECA SIRACUSANA
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SCRIPTPHOTOGRAPHY
LIU BOLIN (Cina)
LIU BOLIN
La fotografia è l’atto conclusivo del lavoro concettuale dell’artista cinese Liu Bolin, un’azione meccanica che prelude a una riflessione profonda sulla società post-industriale. Non cercate in lui l’invito taoista a “vivere nascostamente”: se cercate in questa direzione siete fuori strada. C’è in ogni performance, invece, una critica feroce alla globalizzazione di massa. La società globalizzata ha massificato i bisogni dell’uomo, omogeneizzato i suoi desideri e generato in laboratorio nuove aspettative cui oramai è difficile resistere ai sempre più sofisticati richiami. Siamo parte di un tutto – sembra dirci l’artista cinese – e nemmeno sembriamo accorgercene. O forse sì. Il mondo globalizzato ci ha imposto di correre tutti nella stessa direzione, ci ha spinto a frequentare dei “non-luoghi” costruiti appositamente per spersonalizzare e restituire l’impressione di trovarci a casa anche se ne siamo lontani mille miglia. Zero diversità, zero differenze. La costruzione dei bisogni ha un catalogo breve, il campionario è esiguo. Tutto dev’essere immediatamente riconoscibile. Tranne una componente: l’uomo, che intanto non riconosce più se stesso. Liu Bolin indaga, i “segni” della sua ricerca ci sono tutti; si va dalla censura alla schiavitù del denaro, dai guasti prodotti dalla disumanizzazione delle metropoli al consumismo più compulsivo nella quale trova posto una critica al turismo di massa quale risposta a una richiesta di conoscenza che non si allontana dal semplice svago. Tutto si consuma. E tutto ha lo stesso gusto. Chiamare “fotografie” il lavoro di Liu Bolin è riduttivo. Come si è detto lo scatto è soltanto l’approdo finale di una lunga preparazione non soltanto concettuale. Dietro c’è un minuziosissimo lavoro di maquillage: lui, il fotografo, è sempre ritto contro una scena mentre una serie di collaboratori gli dipinge addosso con estrema perizia gli stessi oggetti, mattoni, frutta, giornali e persino gli stessi spazi vuoti fino a renderlo invisibile, mischiato a una realtà sorprendente quanto sconcertante. Tutto qui. Poi in post-produzione si eliminano le inevitabili tracce della corporeità e dunque le ombre svaniscono: il camaleontismo così è completo. Se altri fotografi ci parlano della desolazione dei “non-luoghi” Liu Bolin si concentra sui loro effetti descrivendoci la “non-vita”, la morte cioè della personale espressione dell’uomo quale attestazione della sua completa autonomia, del superamento delle differenze sull’altare dell’omologazione massificata. Le opere di Liu Bolin sono questo: un trattato sociologico per immagini, una discesa negli interstizi di una società che distrugge le differenze. Chi osserva le fotografie di Bolin è condotto a una specie di gioco iniziale che sfida a individuarlo, una specie di “aguzza la vista”. Giusto, è il tributo che si paga alla sorpresa. Ma poi il pensiero si accende sul significato della nostra stessa vita. Inevitabilmente.
Giuseppe Cicozzetti
foto Liu Bolin
Photography is the final act of the conceptual work of the Chinese artist Liu Bolin, a mechanical action that is a prelude to profound reflection on post-industrial society. Do not seek in him the Taoist invitation to "live hiddenly": if you look in this direction you are astrayed.
In any performance, however, there is a ferocious critique of mass globalization. The globalized society has massified the needs of man, homogenized his desires and generated in the laboratory new expectations which nowadays it is difficult to resist the increasingly sophisticated appeals.
We are part of a whole - the Chinese artist seems to tell us - and we do not even seem to realized it. Or maybe yes. The globalized world has forced us to run all in the same direction, has led us to attend "non-places" built specifically to depersonalize and give back the impression of being at home even if we are a thousand miles away.
Zero diversity, zero differences. The construction of needs has a short catalog, the sample is small. Everything must be immediately recognizable. Except for one component: the man, who in the meantime no longer recognizes himself. Liu Bolin investigates, the "signs" of his research are all there; it ranges from censorship to the slavery of money, from the failures produced by the dehumanization of the metropolis to the most compulsive consumerism in which a critique of mass tourism is posed as a response to a request for knowledge that does not depart from simple leisure.
Everything is consumed. And everything has the same taste. Calling "photographs" Liu Bolin's work is reductive. As we said the shot is only the final landing of a long preparation, not just conceptual. Behind there is a meticulous work of make-up: he, the photographer, is always standing against a scene while a series of collaborators paints the same objects with extreme skill on them, bricks, fruit, newspapers and even the same empty spaces to make it invisible, mixed with an astonishing and disconcerting reality.
That's all. Then in post-production the inevitable traces of the corporeity are eliminated and therefore the shadows vanish: the chameleonism is so complete. If other photographers tell us about the "non-places" desolation Liu Bolin focuses on their effects by describing the "non-life", the death of the personal expression of man as evidence of his complete autonomy, of overcoming differences on altar of the massified approval.
The works of Liu Bolin are this: a sociological treatise for images, a descent into the interstices of a society that destroys the differences. The one who observes Bolin's photographs is led to a kind of initial game that challenges him to identify him, a sort of "sharp sight". Right, it's the tribute you pay for the surprise. But then the thought starts on the meaning of our own life. Inevitably.
Giuseppe Cicozzetti
ph. Liu Bolin