FOTOTECA SIRACUSANA
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SCRIPTPHOTOGRAPHY
Lee JEFFRIES (USA)
LEE JEFFRIES
Quando mi recai per la prima volta negli Stati Uniti, parlo di qualche decennio fa, notai un fenomeno già esistente ma che aveva assunto una connotazione insolita. Le strade delle metropoli come New York, Boston, Philadelphia, Los Angeles brulicavano di un’umanità sconfitta e – ecco il dato nuovo – bianca. Poiché ho sempre considerato gli Stati Uniti un grande “laboratorio” del sociale, pensai che da lì a un decennio anche qui in Italia avremmo assistito allo stesso fenomeno, cioè la riduzione in povertà di classi sociali fino a quel momento tenute al riparo dalla crisi economica. Non mi sono sbagliato, infatti si calcola che ad oggi in Italia gli “homeless”, i senzatetto, siano oltre cinquantamila; lo stesso numero di alcune città di provincia di nuova nomina, giusto per offrire un dato di grandezza.
Vero è che la povertà non ha rispetto ed esige un tributo, ma è altrettanto vero che guerra e profitto hanno qualcosa in comune: le vittime. Precipitare nella disperazione, direi nell’inesistenza, è più che mai rapido e la povertà appare più che altro un effetto collaterale al mantenimento di uno status. Degli altri.
Per un curioso paradosso – dato che la ricchezza detesta la povertà dopo averla generata – gli homeless del mondo (si calcola per approssimato difetto che nel mondo ve ne siano qualcosa come 100 milioni) si accalcano nelle arterie centrali delle grandi città. In genere la loro presenza è tollerata. E controllata, perché il controllo della povertà è già una forma di schiavitù in sé.
Il fotografo inglese Lee Jeffries ha fotografato i senzatetto di alcune grandi città, New York, Los Angeles, Londra, Parigi, Roma e Las Vegas. Il progetto fotografico è confluito in “Homeless”, oltre un centinaio di ritratti di persone senza fissa dimora e che, come noterete, a ogni latitudine portano gli stessi segni. Delle donne e uomini fotografati da Lee Jeffries non sappiamo nulla, né ci viene in soccorso per soddisfare la nostra curiosità. Anzi, qui il fotografo vuole ribadire la distanza tra le responsabilità di chi si limita a fotografare e le circostanze che hanno condotto i soggetti a vivere una vita come la loro.
Eppure non si può dire che non si avverta un’empatia, una partecipazione emotiva e un rispetto che trapelano da ogni immagine e nelle quali il bianco e nero aggiunge un’ottava di sacralità laica, che ci rimanda alle incisioni di Rembrandt. Vite dunque come non le conosciamo, occhi segnati da una profondissima malinconia colti nel vuoto dello sgomento, volti solcati da rughe che aggiungono anni alla pena, nel colmo della rassegnata disperazione di chi è senza domani né mai potrà averne uno. C’è molto ancora che questo nel lavoro di Lee Jeffries, c’è umanità, calore, c’è la momentanea restituzione alla dignità di donne e uomini, la loro sottrazione al ruolo di invisibili a cui sono stati condannati. E non è poco. Niente affatto.
Giuseppe Cicozzetti
da “Homeless”
foto di Lee Jeffries
When I went to the United States for the first time, I talk about a few decades ago, I noticed an already existing phenomenon that had taken on an unusual connotation. The streets of the metropolis like New York, Boston, Philadelphia, Los Angeles were swarming with a defeated humanity and - here's the new data - white.
‘Cause I have always considered the United States a great social "laboratory", I thought that from here to a decade even here in Italy we would have witnessed the same phenomenon, ie the reduction in poverty of social classes hitherto kept away from the economic crisis. I'm not mistaken, in fact it is calculated that to date in Italy the "homeless" are over fifty thousand; the same number of some newly-appointed provincial towns, just to offer a measure of size.
It’s true that poverty has no respect and demands a tribute, but it’s equally true that war and profit have something in common: the victims. To falling in despair, I’d say inexistence, is more rapid than ever and poverty appears more like a side effect of maintaining a status. Of the others.
For a curious paradox - given that wealth detests poverty after having generated it - the homeless of the world (it’s estimated by approximate flaw that there are something like 100 million in the world) are crowded in the central arteries of large cities. Generally their presence is tolerated. And controlled, because the control of poverty is already a form of slavery in itself.
The British photographer Lee Jeffries has photographed the homeless of some big cities, New York, Los Angeles, London, Paris, Rome and Las Vegas. The photographic project has merged into "Homeless", over a hundred portraits of homeless people who, as you will notice, carry the same signs at every latitude. We know nothing about the women and men photographed by Lee Jeffries, nor does he come to the rescue to satisfy our curiosity. Indeed, here the photographer wants to reiterate the distance between the responsibilities of those who are limited to photographing and the circumstances that led the subjects to live a life like theirs.
Yet one can not say that there is not an empathy, an emotional participation and a respect that are leaked from every image and in which the black and white adds an octave of secular sacredness, which refers us to the engravings of Rembrandt. Lives then as we do not know them, eyes marked by a deep melancholy caught in the void of dismay, faces furrowed by wrinkles that add years to the penalty, in the height of resigned despair of those without tomorrow and never will have one. There is a lot more that this in the work of Lee Jeffries, there’s humanity, warmth, there’s the momentary return to the dignity of women and men, their removal from the role of invisible to whom they were condemned. And it's not cheap. Not at all.
Giuseppe Cicozzetti
from “Homeless”
ph. Lee Jeffries