FOTOTECA SIRACUSANA
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Michele GUYOT BOURG (IT)
MICHELE GUYOT BOURG
Ogni casa sul tetto deve avere il cielo, illuminato dal sole di giorno, trapunto di stelle di notte: non ponti né viadotti né autostrade, altrimenti si è costretti a “vivere sotto una cupa minaccia”. C’è una fotografia documentaria che non ha mai smesso la sua funzione e che continua a denunciare, a svelare un fatto, una condizione sociale per trasportarci nella carne viva di un fatto. Altre volte è la cronaca che attribuisce a un reportage un significato profetico. Genova, pochi giorni fa. Il viadotto sul torrente Polcevera, noto anche come ponte Morandi, crolla portandosi con sé oltre 40 vite umane. Questa è la drammatica cronaca di oggi, spresa tra le lacrime del lutto e un grido di dolore che si addensa in una sola domanda, che puntuale si presenta dopo la catastrofe: si poteva evitare? Quello che in tutti questi anni non si è potuto evitare è l’invasione di strutture cementizie, dei grandi snodi autostradali che oltrepassano Genova come immobili stelle comete d’asfalto e che hanno influenzato pesantemente la vita stessa dei quartieri. Un passo indietro. Genova, anni ’80. Michele Guyot Bourg, un fotoamatore genovese, intraprende una ricerca in tal senso: evidenziare cioè lo stridente rapporto di una comunità costretta a interagire con un progresso che tiene conto della viabilità più della vita stessa dei cittadini. Un innesto drammatico che violenta la quotidianità. Il risultato è un progetto dal nome “Vivere sotto una cupa minaccia”, un lavoro che, come si è detto, ha assunto toni profetici e che in queste giornate di pianto diventa virale. “Vivere sotto una cupa minaccia” ha avuto una storia complicata. Se è facile immaginare perché non sia stato apprezzato dalle istituzioni locali – sempre poco inclini ad ammettere responsabilità – le fotografie, poco più tardi, hanno fatto il giro del mondo e sono apparse su molte riviste, italiane e straniere, procurando a chiunque le abbia viste lo stesso straniante sconcerto che proviamo noi mentre le vediamo per la prima volta. E quello che vediamo è l’esistenza di due entità distinte, due città una sopra l’altro o a fianco che non possono né sono chiamate a dialogare ma che al contrario stabiliscono un drammatico rapporto invasivo in grado di modificare per sempre la privacy di quanti vivono a una breve distanza da quel nodo di pilastri e asfalto, calcestruzzo e solette precompresse che incurante dalla vita scivola sui destini. A Michele Guyot Bourg occorrono quattro anni. Quattro anni spesi a documentare la vita tra Nervi, Voltri e le valli del Bisagno e del Polcevera, torrenti che più volte si sono ribellati al tentativo dell’uomo di piegarne il corso naturale. Le foto che vediamo ci chiamano a due registri di interpretazione. Da una parte c’è la nostra indignazione, la doverosa sensazione di sgomento che ci costringe a riflettere sulla qualità di scelte urbanistiche così violente e, dall’altra parte, la delicatezza del fotografo, il cui obiettivo sembra più accompagnarci nella vita quotidiana dei genovesi, mostrare con la necessaria sensibilità gli effetti dell’abbraccio mortale. E infatti, in alcune immagini vediamo come una rassegnata ineluttabilità, la messa a punto di espedienti che, al netto dell’orrore, hanno il potere salvifico di offrire a se stessi una risposta che non può essere demandata ad altri. Così la vita scorre sotto i pilastri e tutto accanto, nell’insolente velocità del traffico commerciale, nell’incuranza dei suoi effetti, nella dimenticanza di una tragedia sempre minacciosa. “Vivere sotto una cupa minaccia” ha questo respiro spezzato, è una forbice tra il quotidiano e l’immanente. E’ il racconto di un cielo sottratto alla vista, la violazione di un desiderio, di un’economia alzata sull’altare di un progresso senza testa. Un reportage magnifico, secco, asciutto. “Vivere sotto una cupa minaccia” è un reportage necessario, che va ascoltato ancorché visto. E Michele Guyot Bourg merita per intero l’attenzione e il successo che i social gli stanno attribuendo, mentre a noi non resta che il desiderio di ammirare il suo lavoro ogni sede che merita.
Giuseppe Cicozzetti
da “Vivere sotto una cupa minaccia”
foto Michele Guyot Bourg
Every house on the roof must have the sky, illuminated by deylight, star-studded by night: no bridges or viaducts or highways, otherwise you are forced to "live under a dark threat". There is a documentary photography that has never stopped its function and that continues to denounce, to unveil a fact, a social condition to transport us in the living flesh of a fact.
Sometimes is the chronicle that attributes a prophetic meaning to a reportage. Genoa, a few days ago. The viaduct on the Polcevera torrent, also known as the Morandi bridge, collapses with over 40 human lives.
This is the dramatic news of today, spent between the mourning tears and a cry of pain that thickens in a single question, which is timely after the catastrophe: could it be avoided? What has not been avoided in all these years is the invasion of cementitious structures, of the large motorway junctions that cross Genoa like real stars as comets of asphalt and which have heavily influenced the real life of the neighborhoods.
Step back. Genoa, 80s. Michele Guyot Bourg, a Genoese amateur photographer, starts a research in this sense: highlighting the strident relationship of a community forced to interact with progress that takes into account the viability of citizens' lives.
A dramatic graft that violates everyday life. The result is a project called "Living under a dark threat", a work that, as we said, has assumed prophetic tones and that in these days of weeping becomes viral.
"Living under a dark threat" has had a complicated history. If it is easy to imagine why it has not been appreciated by the local institutions - always unwilling to admit responsibility - the photographs, a little later, have been around the world and have appeared in many magazines, both Italian and foreign, providing anyone who has seen them, the same alienating bewilderment that we experience as we see them for the first time.
And what we see is the existence of two distinct entities, two cities on top of each other or side that can not and are not called to dialogue but which instead establish a dramatic invasive relationship that can change forever the privacy of those who live a short distance from that knot of pillars and asphalt, concrete and preconpressed slabs that regardless of life slips on the destinies.
Michele Guyot Bourg takes four years. Four years spent documenting the life between Nervi, Voltri and the valleys of Bisagno and Polcevera, creeks that have repeatedly rebelled against the attempt of the man to bend the natural course.
The photos we see call us to two registers of interpretation. On the one hand there is our indignation, the dutiful feeling of dismay that forces us to reflect on the quality of such violent urban choices and, on the other hand, the delicacy of the photographer, whose goal seems to accompany us in the everyday life of the Genoese , show with the necessary sensitivity the effects of the deadly embrace.
And in fact, in some images we see as a resigned ineluctability, the development of expedients that, net of horror, have the saving power to offer themselves an answer that can not be left to others. Thus life flows under the pillars and everything is next to it, in the insolent speed of commercial traffic, in the negligence of its effects, in the forgetfulness of an ever-threatening tragedy.
"Living under a dark threat" has this breath broken, is a gap between the everyday and the immanent. It’s the story of a sky subtracted from sight, the violation of a desire, of an economy raised on the altar of headless progress. A magnificent, dry, curt reportage. "Living under a grim threat" is a necessary report, which must be listened to even when viewed. And Michele Guyot Bourg deserves the attention and the success that the social are giving him, while we have only the desire to admire his work every place he deserves.
Giuseppe Cicozzetti
from "Living under a dark threat"
ph. Michele Guyot Bourg