FOTOTECA SIRACUSANA
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SCRIPTPHOTOGRAPHY
Ralph GIBSON (USA)
RALPH GIBSON
«Un medium è qualcuno che guarda in una sfera di cristallo e vede qualcosa che gli altri non possono. La fotografia è un mezzo. Riesco a vedere più come fotografo che a occhio nudo». Ma non dev’essere stato facile arrivare a questa nuda conclusione. L’alfabeto degli esordi di Ralph Gibson mostrava per intero d’essere affetto, più o meno come una malattia infantile, della mancata consapevolezza che dovrebbe attraversare ogni immagine e incardinarla in un meccanismo narrativo organico, complessivo. Glielo aveva detto Dorothea Lange, di cui Gibson fu collaboratore: «Ogni immagine deve far parte di un progetto in corso. Altrimenti non hai un sacco di lavoro, hai solo una scatola di fotografie». Si sedette per ore a guardare ogni sua fotografia; non riusciva proprio a staccare gli occhi da quello che gli sembrava una sfida ingaggiata con l’immagine ma da cui, più tardi, con una pratica monacale, ne uscì con la ritagliata consapevolezza della sua identità creativa. Un punto di partenza era stabilito, Gibson non aveva nessun desiderio di scattare fotografie per riviste e giornali. Le fotografie, per lui, e contrariamente per l’epoca, dovevano essere contemplate, dovevano rimanere impressionate nella memoria e nella coscienza del lettore come un’opera compiuta e non come un prodotto offerto alla visione frettolosa durevole solo lo sfogliare d’una pagina. Gibson dunque si concentra sul racconto. Un racconto aforismatico, sottratto alla grandiosa ampollosità narrativa e consegnato all’allusiva rappresentazione del dettaglio. Si direbbe una fotografia “minimalista” e molto prima che lo stesso termine affluisse nella letteratura americana degli ultimi decenni del secolo scorso. Nulla è transitorio nelle fotografie di Ralph Gibson, ogni frammento, un piccolo dettaglio è scomposto dalla generalità del contesto per elevarsi a soggetto autonomo, capace di illustrare, o lasciarsi rincorrere, nello spazio cognitivo di una definizione. Non è un gioco né una sciarada ottica, è l’attestazione di una sensibilità visuale che “legge” dove noi nemmeno vediamo l’esistenza di un significato autonomo. In questo apparato, la forma appena disvelata nella sottrazione del suo insieme da oggetto trasloca nella dimensione oggettiva, attestando la segreta vocazione a essere componente fondamentale non più sacrificata o negletta. Si dice, con una certa leggerezza, che Gibson sia il “fotografo delle piccole cose”, un tratto definitivo che proviene dall’attenzione a oggetti e cose della quotidianità o a una ritrattistica dal sapore “involontario” e stordente. In realtà occorre essere dei grandi narratori, estranei a rivalutazioni rabdomantiche volte alla stupore per giungere all’essenza delle cose. E l’essenza è raggiunta ridefinendo l’atto del comunicare il significato della fotografia, perché priva di senso una fotografia è solo un’immagine destinata a evaporare.
Giuseppe Cicozzetti
da “Somnambulist”; “Days at Sea”; “Deja Vu”; “Die Nacht”; “France”; “Haiku”
foto Ralph Gibson
«A medium is someone who looks in a crystal ball and sees something that others cannot. Photography is a medium. I can see more as a photographer than with my naked eye». But it must not have been easy to reach this bare conclusion. The alphabet of the beginnings of Ralph Gibson showed in its entirety to be affected, more or less like a childhood illness, by the lack of awareness that should cross each image and hinge it on an organic, overall narrative mechanism.
He had been told by Dorothea lange, of whom Gibson was a collaborator: «Each image must be part of an ongoing project. Otherwise you don't have a lot of work, you only have a box of photographs». He sat for hours looking at each of his photographs; he really could not take his eyes off what seemed to him a challenge taken up with the image but from which, later, with a monastic practice, he came out with the cropped awareness of his creative identity.
A starting point was established, Gibson had no desire to take photographs for magazines and newspapers. The photographs, for him, and contrary to the epoch, had to be contemplated, they had to remain impressed in the memory and the conscience of the reader as a finished work and not as a product offered to the lasting hasty vision only by leafing through a page. Gibson therefore focuses on the story.
An aphorismatic story, removed from the grandiose narrative bombast and handed over to the allusive representation of detail. It would seem a "minimalist" photograph and long before the same term flowed into American literature in the past decades of the last century. Nothing is transitory in Ralph Gibson's photographs, each fragment, a small detail is broken down by the generality of the context to elevate itself to an autonomous subject, able to illustrate, or allow itself to chase, in the cognitive space of a definition.
It is not a game or an optical charade, it is the attestation of a visual sensibility that "reads" where we do not even see the existence of an autonomous meaning. In this apparatus, the form just revealed in the subtraction of its whole from object moves into the objective dimension, attesting to the secret vocation to be a fundamental component that is no longer sacrificed or neglected. It is said, with a certain lightness, that Gibson is the "photographer of small things", a definitive trait that comes from the attention to everyday objects and things or to a "involuntary" and stunning portrait portraiture.
Actually need to be great storytellers, strangers to dowsing reassessments aimed at wonder to reach the essence of things. And the essence is achieved by redefining the act of communicating the meaning of photography, because meaningless a photograph is only an image destined to evaporate.
Giuseppe Cicozzetti
from “Somnambulist”; “Days at Sea”; “Deja Vu”; “Die Nacht”; “France”; “Haiku”
ph. Ralph Gibson