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SCRIPTPHOTOGRAPHY

Gilbert GARCIN                                                                        (F)

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GILBERT GARCIN (alla memoria)

Gibert Garcin è morto. Placidamente, nel sonno, ha chiuso gli occhi e non li riaprirà mai più. Mi piace pensare che come i suoi personaggi, che si incontrano per non toccarsi, che si vedono senza vedersi, abbia discosto il suo volto alla morte e che ovunque sia da ora in poi stia imbastendo nuovi racconti, nuove visioni vicine a una mitologia contemporanea. 

 La vita è un lungo cammino, una volta intrapreso abbiamo la grandiosa opportunità di cambiare il percorso ogni volta che lo desideriamo. La vita premia chi ha talento; e il premio è un’altra vita. E’ il caso di Gilbert Garcin che, una volta in pensione, anziché mettersi a disposizione dei nipotini, imbraccia una macchina fotografica e comincia a scattare. E scatta Garcin, ossessivamente. Scatta e ritaglia. Scatta e compone. Ma non chiamatelo “bricoleur”: Garcin è un artista e ancora non lo sa. Arles non è distante dalla sua città, giusto un’ora o forse più e in auto raggiunge la città francese cuore della fotografia. Garcin partecipa a un workshop con il fotografo Arnaud Claass, un fotografo surrealista, che intuisce le enorme potenzialità in Garcin. Da quel momento la vita del pensionato cambia. In meglio. Per lui e per noi che vediamo le sue fotografie.

Come avete modo di osservare, il lavoro di Gilbert Garcin è un assemblage fotografico o, se preferite, il fotomontaggio di più immagini (poche) che, una volta giustapposte, riescono a sviluppare efficacemente la sua visione surrealista della fotografia.

C’è sempre un protagonista nelle sue fotografie. E’ lo stesso Garcin ma che veste i panni del suo alter ego, un delicato e straniante “Signor G” che pare arrivare dritto dalla commedia dell’assurdo mentre veste lo stesso impermeabile del monsieur Hulot di Jacques Tati. L’alter ego aiuta. Il diaframma è posto e dunque lo spazio di libertà si allarga fin dove la fantasia lo conduce. E la fantasia di Garcin è concreta, tangibile seppure espressa nel linguaggio allusivo del surrealismo – nel quale è evidente una delicata vena poetica – i cui codici vanno interpretati. Il lavoro di Garcin, benché sia in quest’alveo ben definito, sono più intellegibili, offrono maggiore chiarezza alla lettura e dunque si impongono. Il suo lavoro è chiaro, codificabile e dunque privo delle intemperanze concettuali di Robert e Shana ParkeHarrison, dal lirismo grafico di Thomas Barbey o, più ancora, dalle vertigini intellettuali di Man Ray e dalle invitanti provocazioni di Rodney Smith.

 Ho appena accennato alla cifra poetica nel lavoro di Gilbert Garcin, un tono sempre sospeso la cui delicatezza rimanda alla leggerezza dei versi di Prévert ma che il fotografo vena di nuove nuances, per le quali si serve talvolta della presenza di un altro soggetto con cui imbastire un dialogo muto ed efficace: sua moglie.

Il tema che attraversa la quasi totalità del lavoro di Garcin è il dipanarsi del Tempo, il suo scorrere e i delicati e frammentati equilibri posti in essere nel rapporto dell’uomo con i suoi simili e il suo “intorno”, preso tra i sogni e le disillusioni. E tutto con un rigidissimo ed elegante senso della composizione fotografica, una cifra inderogabile che Garcin rispetta e con cui ci chiama a confrontarci. 

Ho sconsigliato di definire Gilbert Garcin un bricoleur, c’è molto più nella sua arte. Già, perché prima ancora di averne consapevolezza e prima ancora che qualcuno lo definisse tale, egli è già un giocoliere delle immagini, un creatore di sogni, un mediatore tra la realtà e fantastico. Garcin è un artista, ma non lasciatevelo scappare, si ritrarrebbe con pudore (sebbene alla bella età di 84 anni Les Rencontres d’Arles Photographie gli ha dedicato un’importante retrospettiva): meglio lasciare che a fregiarsi della qualifica di artista sia qualche mediocrissimo fotografo con la macchina al collo. Ai grandi non necessita alcuna definizione: essi stessi sono una vivente definizione.

 

Giuseppe Cicozzetti

foto Gilbertl Garcin   

 

Gibert Garcin is dead. Placidly, in sleep, he closed his eyes and will never open them again. I like to think that like his characters, who meet in order not to touch each other, who see each other without seeing each other, he has turned his face away from death and that wherever he is from now on he is creating new stories, new visions close to a contemporary mythology.

 

Life is a long way, once took the road we have the great opportunity to change the course whenever we want it. Life rewards who has talent; and the award is another life. It is the case of Gilbert Garcin who, once retired, instead of being available to the grandchildren, embraces a camera and starts shooting.

And shoots Garcin, obsessively. Click and cut. Click and compose. But do not call it "bricoleur": Garcin is an artist and still does not know. Arles is not far from its city, just an hour or maybe more and by car reaches the French city's heart of photography. Garcin participates in a workshop with photographer Arnaud Claass, a surrealist photographer who understands the enormous potential of Garcini. From that moment the pensioner's life changes. Better. For him and for those who see his photographs.

As you can see, Gilbert Garcin's work is a photographic assembly or, if you prefer, photomontage of images (few) that, once juxtaposed, can effectively develop his surrealistic vision of photography.

here is always a protagonist in his photographs. It is Garcin himself but dressed as his alter ego, a delicate and strange "Mr. G" that seems to come straight from the Comedy of Absurd as he dresses the same waterproof of Jacques Tati's monsieur Hulot. The alter ego helps.

The diaphragm is placed, and therefore the space of freedom extends to where the imagination leads. And Garcin's fantasy is concrete, tangible, though expressed in the allusive language of surrealism - in which a delicate poetic vein is evident - whose codes must be interpreted. Garcin's work, though well defined in this watercourse, is more intelligible, provides greater clarity to reading and is therefore imposed. His work is clear, codifiable and thus devoid of Robert and Shana ParkeHarrison's conceptual intimperations, Thomas Barbey's graphic lyricism, or even more, by Man Ray's intellectual dizziness and the inviting Rodney Smith provocations.

I have just mentioned the poetry figure in Gilbert Garcin's work, a tone always suspended whose delicacy refers to the lightness of the verses of Prévert but that the photographer is vehement of new nuances, for which he occasionally uses the presence of another subject with whom he flies a mute and effective dialogue: his wife.

The theme that runs through almost the whole of Garcini's work is the overthrow of Time, its flow and the delicate and fragmented balance placed in the relationship of man with his fellow men and his "around", taken between dreams and disillusions. And all with a rigid and elegant sense of photographic composition, an indisputable figure that Garcin respects and calls us to confront.

I did not advise to define Gilbert Garcin as a bricoleur, there is much more in his art.

Yeah, because before they even got to know it, and even before someone called it that, he's already a juggler of pictures, a dream creator, a reality broker and a fantastic one. Garcin is an artist, but he does not let him run away, he would retire with modesty (though at the age of 84, Les Rencontres d'Arles Photographie devoted an important retrospective to him): better to let the artist qualify as a poor photographer with a camera around the neck. The great ones do not need any definition: they are a living definition.

 

Giuseppe Cicozzetti

ph. Gilbert Garcin

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