FOTOTECA SIRACUSANA
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SCRIPTPHOTOGRAPHY
Vladimir FEDOTKO (Russia)
VLADIMIR FEDOTKO
Benvenuti nel caleidoscopico e multiforme mondo del russo Vladimir Fedotko. Una combinazione eclettica di elementi, un trionfo di piume e ori accompagna l’osservazione di un mondo a metà strada tra quello favoloso di Amélie e l’altro, leggermente più dark, in cui Tim Burton fa muovere i suoi deliri disturbanti. Ambientazioni fantasmagoriche, set ricchi di stucchi e ori nelle quali il fermo dell’ambientazione racconta una micro storia compiuta e definita nella cura maniacale di ogni singolo dettaglio. L’occhio è rapito, conquistato da una generosità di rimandi in cui, come un contrappunto, animali e oggetti competono con le figure umane, mentre mascheroni grotteschi guardano la scena benevolmente. Ah, la fantasia! Senza una solida sostanza su cui poggiare sarebbe nulla. E in questo circo umano la fantasia governa. Su tutto spira un vento allegorico, ora sfiorante una sacralità al limite del paganesimo ora ai bordi di un Liberty che ha perduto la sua espressione decorativa per farsi riluttante alla disciplina di Bradley. Ma sebbene sembri tutto così chiaro, è tutto appena accennato perché il gioco dell’allusione compia il suo mandato. Ecco dunque ritratti di donne di cui non conosciamo nulla se non l’espressività chiusa nella staticità della posa: figure ferme, che però sono alle prese sempre con qualcosa di insolito (almeno per noi), e nelle cui pieghe di una femminilità affidata alle ampie gonne o agli stretti corpini si nasconde la passione per il mistero o, se volete, una tregua con la realtà. Il colore domina, riempie la scena e quasi ne determina l’indirizzo: dall’algido biancore alle tinte primarie scatenanti passioni indicibili, si spande fino al più piccolo spazio. Siamo al “surrealismo cromatico” che incontra quello contenutistico della composizione. Fedotko, immaginiamo, è maestro della riconciliazione, cerimoniere di una momentanea cesura tra reale e irreale e da gran paciere qual è domina il dialogo della mediazione. Il mondo meraviglioso e disperso dialoga ora con la materia delle nostre conoscenze. E così nulla suona blasfemo. Nemmeno una “maternità” che tra velluti, broccati e finestre da cui fa ingresso un’aria rinascimentale, cogliamo una tenerezza smossa dall’espressione gioiosa del bambino, di cui persino un gatto in fondo all’immagine è incuriosito. Fedotko imbandisce una tavola ricca: sa che per suonare la sua musica occorre un’orchestra e lui all’orchestra affida lo spartito. E dunque le sue “spose cadavere” suonano una musica che non atterrisce, che non allontana, che non respinge nonostante la spolverata dark. Ma non dimentichiamo che è il grottesco a legare il lavoro e dunque ogni lettura è possibile, a patto che si sia disposti a lasciarsi incantare. Le fotografie di Fedotko sono un album per adulti, un almanacco di suggestioni, un generoso ventaglio di immagini che ci invita a reimpossessarci di una fantasia creduta affievolita con l’incedere degli anni; fantasia che ha un solo limite: quello di non avere alcun limite, specialmente con l’arrivo delle tecnologie digitali.
Giuseppe Cicozzetti
foto Vladimir Fedotko
Welcome to the kaleidoscopic and multifaceted world of Russian Vladimir Fedotko. An eclectic combination of elements, a triumph of feathers and gold accompanies the observation of a world halfway between the fabulous one of Amélie and the other, slightly darker, in which Tim Burton makes his disturbing deliriums move.
Phantasmagorical settings, sets full of stuccos and gold in which the setting of the setting tells a micro story completed and defined in the maniacal care of every single detail. The eye is rapt, conquered by a generosity of references in which, as a counterpoint, animals and objects compete with human figures, while grotesque masks look at the scene benevolently.
Ah, the fantasy! Without a solid substance on which to rest it would be nothing. And in this human circus fantasy governs. Above all an allegorical wind blows, now touching a sacrality on the edge of paganism now at the edge of a Liberty that has lost its decorative expression to be reluctant to the Bradley’s discipline.
But although it seems all so clear, everything is barely mentioned because the game of allusion fulfills its mandate. So here are portraits of women of whom we know nothing but the expressiveness closed in the static of the pose: still figures, which are always grappling with something unusual (at least for us), and in the folds of a femininity entrusted to the skirts or tight bodices hide the passion for mystery or, if you want, a truce with reality.
Color dominates, fills the scene and almost determines its address: from the wet white to the primary colors triggering unspeakable passions, it spreads out to the smallest space. We are at the "chromatic surrealism" that meets the content of the composition. Fedotko, we imagine, is the master of reconciliation, the master of a momentary caesura between real and unreal and a great peacemaker who dominates the dialogue of mediation. The wonderful and dispersed world now dialogues with the matter of our knowledge.
And so nothing sounds blasphemous. Not even a "maternity" that between velvets, brocades and windows from which a Renaissance air enters, we catch a tenderness moved by the joyful expression of the child, of which even a cat at the bottom of the image is intrigued. Fedotko lays down a rich table: he knows that to play his music he needs an orchestra and he entrusts the score to the orchestra.
And so his "corpse brides" play a music that does not scare, that does not move away, that does not reject despite the dark dusting. But let us not forget that it is the grotesque that binds the work and therefore every reading is possible, as long as you are willing to let yourself be enchanted. Fedotko's photographs are an album for adults, an almanac of suggestions, a generous range of images that invites us to repossess us of a fantasy believed to have faded with the passing of the years; fantasy that has only one limit: that of having no limits, especially with the arrival of digital technologies.
Giuseppe Cicozzetti
ph. Vladimir Fedotko