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SCRIPTPHOTOGRAPHY

Eugene DE SALIGNAC                                            (USA)

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EUGENE DE SALIGNAC

Se Roma non è stata costruita in un giorno nemmeno New York scherza. Con una differenza di cui dobbiamo essere grati a Eugene de Salignac, che ha fotografato le fasi costruttive delle strutture che nel tempo sono diventati simboli stessi della metropoli americana. Fotografo quasi per caso (nel 1903 de Salignac ha 42 anni quando, grazie al cognato, si impiega al Dipartimento Ponti, Impianti e Strutture della municipalità di New York in qualità di assistente fotografo. Attenzione, la qualifica di “fotografo” non tragga inganno, in realtà si trattava di un impiego da operaio) documenterà la nascita della New York che conosciamo oggi. Dal 1903 al 1934, data in cui andrà in pensione, de Salignac scatta qualcosa come 20.000 fotografie che per lungo tempo resteranno pressoché sconosciute, se non agli addetti ai lavori (Lewis Hine si dirà influenzato dalle foto di de Salignac) e così sarà fino al 1999, quando al fotografo Michael Lorenzini viene commissionato dall’Archivio Comunale di New York di digitalizzare il materiale fotografico. Di Eugene de Salignac non si sapeva nulla se non che il suo tempo come operaio ha coinciso con la trasformazione di New York da una città in fieri alla moderna metropoli di oggi. Quello che si sapeva con sicurezza è che le sue fotografie tradivano un uomo dalla spiccatissima sensibilità artistica. Per Lorenzini è una rivelazione, ha tra le mani fotografie che spediscono de Salignac dritto al pantheon dei grandi fotografi di New York, insieme ad Hine, Riis, Stieglitz e Abbott. Più o meno come accadrà più tardi con un’altra grande sconosciuta, Vivian Maier, il cui destino artistico si conforma a quello di de Salignac. Dunque non solo fotografie documentali di una città diventata paradigma per l’urbanistica del XX secolo ma immagini che nella loro possanza e bellezza sottolineano la monumentalità delle opere pubbliche, e la cui traduzione è declinata in una sensibilità che segnala il pieno dominio della composizione fotografica. 

Le fotografie che ammiriamo sono molto più che una semplice ma accuratissima documentazione, esse infatti non prescindono da una ricerca estetica che vira verso il “bello” inteso come registro nel quale sviluppare una tematica altrimenti esclusivamente documentale. De Salignac ha saputo risolvere proprio questa crisi e dunque bellezza estetica e cronaca dialogano magnificamente: arte e storia si fondono indissolubilmente e quanto appare come “lavori in corso” risulta essere una sapienza espositiva di rarissima efficacia. 

Accade, seppur raramente, di trovarsi di fronte al lavoro misconosciuto di grandi uomini. E’ raro ma accade, e la grandezza della nostra meraviglia è presto ripagata dal valore testimoniale del lavoro di uomini rimasti al buio per tanto tempo. Troppo. Eugene de Salignac ha amato il suo lavoro di fotografo (chi produce fotografie come le sue non può non amarlo) e lo ha amato così profondamente che ancora a settant’anni si arrampicava su pali e tralicci, convinto che avessero ancora da offrirci un diverso punto di vista. Quando giunse l’età della pensione non volle saperne. Né lui né chi sapeva che il suo lavoro coincideva con la sua stessa vita. Chi gli voleva bene raccolse delle firme perché potesse continuare a lavorare. La petizione finì direttamente sotto gli occhi di Fiorello La Guardia, allora sindaco di New York, ma fu inutile. Da lì a qualche anno Eugene de Salignac si spense. A noi oggi non spetta che ammirare la grandezza del suo lavoro, e che la meraviglia della sua eredità artistica sia pari al nostro rispettoso ricordo di un fotografo geniale e silenzioso.

 

Giuseppe Cicozzetti

 

foto di Eugene de Salignac 

 

 

If Rome wasn’t built in a day New York doens’t joke either. With a difference we must be grateful to Eugene de Salignac, who photographed the constructive phases of structures that over time have become symbols of the American metropolis.

He was photographed almost by accident (in 1903, Salignac is 42 years old when, thanks to his brother-in-law, he is employed as a photographic assistant at the Department of Bridges, Plants and Structures of the New York City Council. Attention, the qualification of "photographer" does not deceive, in fact he was a blue collar) will document the birth of New York we know today.

From 1903 to 1934, when he retires, de Salignac takes something like 20,000 photographs that for a long time will remain almost unknown, except for the workmen (Lewis Hine will be influenced by the photos of de Salignac) and so will be up to 1999, when photographer Michael Lorenzini is commissioned by the New York Municipal Archives to digitize the photographic material.

Eugene de Salignac knew nothing except that his time as a worker coincided with the transformation of New York from a city proud of modern metropolis today.

What he knew with certainty was that his photographs betrayed a man with a great artistic sensibility. For Lorenzini is a revelation, he has in his hands photographs that send Salignac straight to the pantheon of great New York photographers, along with Hine, Riis, Stieglitz and Abbott.

More or less as it will be later with another great stranger, Vivian Maier, whose artistic fate conforms to that of de Salignac. So not just documentary photographs of a town that became a paradigm for urbanism in the twentieth century but images that in their power and beauty emphasize the monumentality of public works, and whose translation is reflected in a sensitivity that signals the full domain of photographic composition.

The photographs we admire are far more than just simple but accurate documentation, in fact they do not exclude from aesthetic research that moves towards the "beautiful" as a register in which to develop an otherwise documentary theme. De Salignac has been able to solve this crisis, and beauty and chronicle are beautifully conversing: art and history blend indissolubly, and what appears to be "work in progress" is a very unusual display of wisdom.

It happens, though rarely, to be in the face of the misunderstood work of great men. It’s rare but it happens, and the greatness of our wonder is soon repayed by the testimony value of the work of men left in the dark for so long. Too much. Eugene de Salignac loved his job as a photographer (who produces photographs like his can not but love him) and he loved him so deeply that he still climbed up to seventy years on piles and trellis, convinced they still had to offer us a different point of view.

When the retirement day came he did not want to know. Neither he nor anyone who knew his work coincided with his own life. Whoever wanted him picked up signatures to keep him working.

The petition ended directly under the eyes of Fiorello La Guardia, then New York City Mayor, but was useless. From there to a few years Eugene de Salignac went out. Today, it is not for us to admire the greatness of his work, and the wonder of his artistic heritage is equal to our respectful memory of a brilliant and silent photographer.

 

Giuseppe Cicozzetti

 

Ph. Eugene de Salignac

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