top of page

SCRIPTPHOTOGRAPHY

Leo BUGAEV                             (RU)

d503484d3eb289a66f458c21854479c8.jpg

LEO BUGAEV

 

Ritrattistica non convenzionale. Come l’autore. E infatti non provate a chiamare fotografo Leo Bugaev o, men che meno, ritrattista: il giovane russo è un artista multimediale a cui sta stretta qualunque definizione. Ma di ritratti qui si parla ma da un punto di vista obliquo che, prima di precipitare nelle braccia di una definizione, necessita di uno sguardo più approfondito. 

Se nella ritrattistica tradizionale sono molti gli autori che concordano sul punto che il vero soggetto è l’autore stesso e non la persona davanti all’obiettivo, Leo Bugaev spinge più in là i termini del dibattito, nello spazio concettuale dove il ritratto incontra simbolismo funzionale a un disegno formale, nello stile e nei contenuti. Infatti, ribaltando il principio secondo il quale la centralità del ritratto debba essere occupata dal «corpo» o parti di esso (volto, occhi, ecc.), nelle fotografie di Bugaev esso è celato in un piano secondario e la cui struttura fisica è un’impalcatura in cui l’«oggetto» è significante rispetto al soggetto. Più che di ritratti dovremmo parlare di allegorici still life in cui un globo diventa metafora metafisica, mentre in altre i simboli del consumo utilizzati per le immagini, ci offrono una chiave di lettura più netta. E più precisa, in cui la metafora vira verso la critica sociale. Si guardino, a questo proposito, le immagini in cui un televisore ha preso il posto del capo di un uomo o, peggio, la coppia a guardia di un altro apparecchio televisivo vuoto, però, come la fissità della loro postura e degli sguardi. Siamo, sembra dirci Bugaev, quello che siamo e quello che siamo non sempre coincide con quello che crediamo d’essere. Gli oggetti ci rappresentano, parlano di noi e per noi, ci governano senza opporre alcuna resistenza. Essi sono noi. E senza siamo nessuno. Impresentabili. E infatti la «summa» espressiva risiede nel ritratto di spalle della donna: senza oggetti, posati su un piano, lei è priva di qualunque soggettività, nuda, inutile. Gli oggetti, come si è visto, predominano ed è emblematica la fotografia nella quale la figura umana non c’è più, è assente mentre gli oggetti permangono, quali soggetti di un’espressività «trans umana» La loro staticità focale prevale sul movimento delle figure che in alcune immagini sembrano come impazzite, prede di un movimento frenetico, vittime di un «mosso» indomabile: punti fermi mentre attorno tutto è mutevole e predisposto alle vertigini cinetiche, incontrollabili quanto irrazionali. E a noi, mentre osserviamo la fotografie di Leo Bugaev, assale la consapevolezza di affogare in un tempo nel quale il tempo è già passato. Inafferrabilmente.

 

Giuseppe Cicozzetti

foto Leo Bugaev

http://www.leo-bugaev.com/

Unconventional portraiture. Like the author. And in fact don’t try to call photographer Leo Bugaev or, least of all, portraitist: the young Russian is a multimedia artist to whom any definition is tight. But we talk about portraits here but from an oblique point of view that, before falling into the arms of a definition, needs a deeper look. If in traditional portraiture there are many authors who agree on the point that the true subject is the author himself and not the person in front of the lens, Leo Bugaev pushes the terms of the debate further, in the conceptual space where the portrait meets functional symbolism to a formal design, style and content. In fact, reversing the principle according to which the centrality of the portrait must be occupied by the «body» or parts of it (face, eyes, etc.), in Bugaev's photographs it is hidden in a secondary plane and whose physical structure is a scaffolding in which the «object» is significant with respect to the subject. More than portraits we should talk about allegorical still life in which a globe becomes a metaphysical metaphor, while in others the symbols of consumption used for images offer us a clearer interpretation. And more precise, in which the metaphor turns towards social criticism. In this regard, look at the images in which a television has taken the place of the head of a man or, worse, the couple guarding another empty television set, however, like the fixity of their posture and looks. We are, Bugaev seems to say, what we are and what we are does not always coincide with what we believe to be. The objects represent us, they talk about us and for us, they govern us without offering any resistance. They are us. And without us we are nobody. Unpresentable. And in fact the expressive «summa» resides in the portrait of the woman's shoulders: without objects, placed on a plane, it’s devoid of any subjectivity, naked, useless.  The objects, as we have seen, predominate and are emblematic of photography in which the human figure no longer exists, is absent while objects remain, as subjects of a «trans human» expressiveness. Their focal staticity prevails over the movement of figures that in some images seem like crazy, prey of a frenetic movement, victims of an indomitable «blur»: fixed points while everything around is changeable and predisposed to kinetic vertigo, uncontrollable as irrational. And to us, as we look at Leo Bugaev's photographs, he raises the awareness of drowning in a time when time has already passed. Unseizably.

Giuseppe Cicozzetti

ph. Leo Bugaev

http://www.leo-bugaev.com/

bottom of page