FOTOTECA SIRACUSANA
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Gianluca BUCCI (IT)
GIANLUCA BUCCI
La notte somiglia alla memoria, il buio elimina il superfluo alla nostra vista come la memoria trattiene solo i ricordi più cari. La città di notte è diversa dal giorno. E’ come se il buio la conquistasse per riscuotere il dovuto dopo la confusione del giorno. Luci, suoni appaiono nella lunga proiezione d’un mistero indicibile alla luce del sole. E lei, la notte, dal suo dolcissimo dominio, ricambia, perché generosa sa essere con chi l’ama: lei offre il suo respiro e chi l’attraversa può raccogliere se stesso a ogni singolo passo. La notte è perfetta per un racconto in equilibrio tra immaginario e reale; le vie, le piazze, l’umanità che l’affolla sembrano assorbiti dal cielo, avvolti da un enigma che non lascia fuori nulla, dal centro alla periferia, perché si diceva, è diversa dal giorno: la notte non ha preferenze. Raccontare la notte di una città obbliga a delle scelte e la visione non è mai imparziale, sicché un fotografo racconterà la “sua” notte colmandola di suggestioni, interpretazioni che sconfinano ora nella metafisica – l’oscurità regala una divisione volumetrica più di quanto non faccia il giorno – ora nell’intreccio romantico d’un racconto che sa farsi intimo, così che le città, anche quelle che conosciamo, ci appaiono nuove, diverse, quasi “estranee”. Milano è una città che conosciamo tutti, ma vedere la sua veste notturna, come ci invita a fare Gianluca Bucci con “Milanoir”, è come partecipare a un viaggio in cui passo dopo passo si addensa l’estraniamento per una realtà che credevamo di conoscere e che invece, complice l’oscurità, rimanda a un senso di novità. La notte milanese di Bucci ha come un senso pacificatore, non è per niente disturbante: il mistero, insito nella natura dell’oscurità, è superato dalla nettezza con la quale la notte, rifiutando d’essere tautologicamente l’esatto contrario del giorno, attesta se stessa come soggetto pulsante d’una identità propria. La notte di Bucci è rincuorante, accogliente, molto diversa, per esempio, dalle notti di Hido. Qui, in ogni sua fotografia, la notte è lontana dalle intrusioni psicologiche del fotografo americano ma per sensibilità è assai più imparentato con le incursioni esplorative di Raffaela Marinello. In entrambi i casi le discese notturne verso il “noto” mirano a stabilire il groviglio di suggestioni d’un tempo che vuole essere se stesso; e in questa direzione “Milanoir” – titolo bellissimo che rimanda a una tradizione “giallista” – assume il carattere erratico della scoperta, un vagabondare nelle pieghe nascoste della città, nella quale l’insegna illuminata d’un bar della periferia sa trasformare il disagio in conforto. Scorrendo le fotografie di Bucci non possiamo non notare come il fotografo si appassioni a una Milano che dorme. C’è infatti come un tocco di sensibile rispetto, un omaggio doveroso e segreto verso una città che, a suo modo, sa essere “accogliente” anche di notte, tanto che le luci provenienti dalle finestre d’un caseggiato popolare suscitano una calda ritualità da reiterare al chiuso delle abitazioni. Il bianco e nero, sofisticato e ben equilibrato di “Milanoir” non appiattisce le differenze volumetriche né, d’altro canto, intende esaltarle nel dualismo con il colore. Anzi, il bianco e nero ci pare così ricco da poter cogliere anche le sottili sfumature meglio d’una tavolozza colorata. Ecco, la notte di Bucci è colorata. Ogni cosa, una strada, il groviglio dei binari d’una stazione ferroviaria secondaria, le architetture dei centri direzionali come l’intimità donata dalla nebbia pare illuminata d’una luce che non ha alcuna intenzione di farsi misteriosa ma che, al contrario, ci offre una nuova e chiarissima lettura di se stessa. E noi in questo viaggio alla periferia del giorno, in questi incontri noti e sconosciuti allo stesso tempo ci aggiriamo con la consapevolezza di guardare una città con nuovi occhi, pronti ancora una volta a riempirsi di incanto. E di un racconto che riguarda la memoria.
Giuseppe Cicozzetti
da “Milanoir”
foto Gianluca Bucci
The night is look alike memory, darkness eliminates the superfluous to our sight as the memory retains only the most cherished memories. The city at night is different from the day. It is as if darkness conquered her to collect the debt after the confusion of the day. Lights, sounds appear in the long projection of an unspeakable mystery of daylight. And she, at night, from her sweet dominion, reciprocates, because she knows how to be with those who love her: she offers her breath and whoever crosses her can gather himself at every single step. The night is perfect for a story in balance between imaginary and real; the streets, the squares, the humanity that the crowds seem to be absorbed by the sky, surrounded by an enigma that leaves nothing out, from the center to the periphery, because it was said, is different from the day: the night has no preferences. Telling the night of a city requires choices and the vision is never impartial, so that a photographer will tell "his" night filled with suggestions, interpretations that now border on metaphysics - darkness gives a more volumetric division than it does the day - now in the romantic intertwining of a story that knows how to become intimate, so that the cities, even the ones we know, appear to us new, different, almost "stranger". Milan is a city that we all know, but to see its night dress, as Gianluca Bucci invites us to do with “Milanoir”, is like taking part in a journey in which the estrangement thickens for a reality that we thought we knew and instead, thanks to the darkness, it refers to a sense of novelty. Bucci's Milan night has a sense of peace, it is not at all disturbing: the mystery, inherent in the nature of darkness, is overcome by the clarity with which the night, refusing to be tautologically the exact opposite of the day, attests herself as a pulsating subject of her own identity. Bucci's night is heartening, welcoming, very different, for example, from Hido's nights. Here, in each of his photographs, the night is far from the psychological intrusions of the American photographer, but by sensitivity is much more related to the exploratory incursions of Raffaela Marinello. In both cases the night descents towards the "known" aim to establish the tangle of suggestions of a time that wants to be itself; and in this direction "Milanoir" - a beautiful title that refers to a "giallist" tradition - takes on the erratic character of the discovery, a wandering in the hidden folds of the city, in which the illuminated sign of a bar in the periphery knows how to transform discomfort in comfort. Looking through Bucci's photographs, we cannot fail to notice how the photographer is passionate about a sleeping Milan. In fact, there’s a touch of sensitive respect, a dutiful and secret homage to a city that, in its own way, knows how to be "welcoming" even at night, so that the lights coming from the windows of a popular block of flats arouse a warm rituality to be repeated indoors. The sophisticated and well-balanced black and white of "Milanoir" doesn’t flatten the volumetric differences nor, on the other hand, does it intend to exalt them in dualism with color. Indeed, black and white seems so rich to be able to catch even the subtle nuances better than a colored palette. Here, Bucci's night is colorful. Everything, a road, the tangle of the tracks of a secondary train station, the architecture of the directional centers like the intimacy given by the fog seems illuminated by a light that has no intention of becoming mysterious but, on the contrary, offers a new and very clear reading of itself. And we on this journey to the periphery of the day, in these well-known and unknown meetings at the same time, we wander with the awareness of looking at a city with new eyes, once again ready to fill with enchantment. And a story about memory.
Giuseppe Cicozzetti
from “Milanoir”
ph. Gianluca Bucci