FOTOTECA SIRACUSANA
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SCRIPTPHOTOGRAPHY
Alex BRONFER (Israele)
ALEX BRONFER
Il senso di Alex per la geometria. E’ accaduto, forse no, chissà, che due città conosciute con il nome di Sodoma e Gomorra furono distrutte dalla collera di Dio a causa della loro empietà. E’ accaduto, forse no, chissà. Quello che è certo che l’area del Mar Morto, collocata a oltre 400 metri sotto il livello del mare, è uno dei luoghi più desolati al mondo che nemmeno la mano dell’uomo ha saputo modificare. Se si eccettua l’area intorno a En-Gedi, al kibbutz sulle sponde rocciose e lo stabilimento termale lungo le sue rive – dove sono state scattate le fotografie di questa serie – il Mar Morto mostra subito la sua ostilità. Il fotografo israeliano Alex Bronfer in “Sodom” racconta come in questo “paesaggio indomabile”, come ebbe a definirlo lo scrittore Abraham Ben Yeoshua, l’alito della vita sia attecchito e come l’uomo abbia piegato al suo piacere la natura aspra di un luogo che resta invivibile nella sua complessità. Chi, come il sottoscritto, ha avuto l’occasione di visitarne le sue sponde ritroverà in queste fotografie lo stesso senso di sospensione, la medesima rarefazione della luce e il silenzio astrale cui si viene colti una volta giunti. Il Mar Morto incute timore. E rispetto. Una volta sulle sue brevi spiagge non c’è traccia della gioiosa allegria e della frizzante spensieratezza che abita le spiagge mediterranee, C’è invece, a causa di un’elevata salinità che rende le acque densissime, un’atmosfera direi meditativa. Alex Bronfer coglie per intero il senso di compostezza dei bagnanti che si aggirano timidi sul bagnasciuga o ancora più cautamente si inoltrano tra le acque. Il suo è uno stile singolare. “Sodom” infatti tenta di fermare il senso d’estraneità tra l’uomo e il suo intorno in una invisibile ma presentissima gabbia geometrica che articola ogni fotografia. La spazialità, una volta sezionata da linee immaginarie e da uno sperimentato senso prospettico, allontanano il progetto dal realismo tout court per esaltare una metafisica solo all’apparenza involontaria e che invita all’introspezione. Come si nota i soggetti sono “catturati” lungo direttrici invisibili, collocati in una scacchiera immaginaria oppure colti a favore di composizione, e laddove a una prima veloce osservazione si può essere colti dal dubbio che il cielo, il mare sembrino sovrabbondare rispetto alla figure è solo per costringerci a una riflessione ponderata sulla complessità degli elementi, anch’essi parte integrante del quadro compositivo, e dell’immanenza che pervade quei luoghi. Con “Sodom” siamo distanti dalla “beach photography” – un paragrafo della più popolare “street” – che conosciamo. Dove si è sperimentato il valore del kitsch o l’analisi antropologica dell’uomo alle prese con il suo tempo libero o ancora le circonvoluzione aeree di spiagge e lidi, in queste immagini si preme il tasto che accordi le diverse dissonanze. “Sodom” coniuga i suoi “salti” stilistici, presenti nell’insieme, con un linguaggio che da un lato non vuol perdere la freschezza visiva, mentre dall’altro è impegnato a mantenere l’allure metafisica, versando i due temi nella rigida imposizione dettata dalla prospettiva. E, soprattutto, da un senso quasi istintivo di Alex Bronfer per la geometria.
Giuseppe Cicozzetti
da “Sodom”
foto Alex Bronfer
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