FOTOTECA SIRACUSANA
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SCRIPTPHOTOGRAPHY
Alexey BEDNIJ (Russia)
ALEXEY BEDNIJ
Non fatevi illusioni, tutto ciò che esiste getta un’ombra. E non è detto che sia un male, perché l’ombra duplica il reale senza portarne il fardello. L’ombra, sembra dirci il giovane fotografo russo Alexey Bednij, è un’immagine essa stessa, un’impronta attraverso cui mediare l’equilibrio tra luce e oscurità perché si giunga a un’illusione visiva che ci parli della supremazia dell’immaginario sul reale. Ombre governate come un pattern, manipolate digitalmente per descrivere ora la nervosa convulsione di un “traffico” emozionale, ora un silenzioso rigore di forme nella cui spontanea organizzazione leggiamo un divertito e colto rimando “escheriano”. Ambiguità visive, sdruccioli apparati ottici che si consegnano al nostro godimento mischiando l’accelerazione optical a una precisa concettualità, nella quale gli elementi reali sembrano superati dall’evanescenza della loro stessa proiezione. Alexey Bednij è un surrealista e dunque gioca con l’irrealtà: la blandisce per diventare un demiurgo, e “piegando” le ombre a suo piacimento compone un centro in grado di assorbire l’attenzione dell’osservatore e spingerla alla ricerca di forma che si inseguono, si accavallano, si organizzano e si scompongono in un divertito gioco di apparenze. Ma l’apparenza è essa stessa sostanza, è una presenza del reale; e dunque qualcosa, come un respiro, con cui fare i conti. Le ombre di Alexey Bednij hanno il tempo di svilupparsi anarchicamente – salvo poi rientrare in un quadro organizzato –, di lasciare il tempo per una effimera consapevolezza per poi condurci nel territorio dello stordimento, della leggera confusione, della controllata incoerenza che sfida le leggi dell’illuminazione e della prospettiva ottica. Un gioco. Un gioco ben riuscito che sancisce il ribaltamento delle convinzioni sull’altare delle presunte convenzioni fotografiche. Tutto ciò che esiste getta un’ombra e noi accorriamo a inoltrarci in quel lato oscuro, rivalutando, semmai ve ne fosse bisogno, l’oscura risultante, il “gemello buio della luce”.
Giuseppe Cicozzetti
foto Alexey Bednij
Don’t make any illusions, everything that exists casts a shadow. And it’s not said that it’s bad, because the shadow duplicates reality without bringing the burden. The shadow, the young Russian photographer Alexey Bednij seems to tell us, is an image itself, an imprint through which to mediate the balance between light and darkness to arrive at a visual illusion that speaks to us of the supremacy of the imaginary on the real things.
Shadows governed as a pattern, manipulated digitally to describe now the nervous convulsion of an emotional "traffic", now a silent rigor of forms in whose spontaneous organization we read an amused and cultured "Escherian" reference. Visual ambiguity, slippery optical apparatuses that are delivered to our enjoyment mixing optical acceleration to a precise conceptuality, in which the real elements seem overcome by the evanescence of their own projection.
Alexey Bednij is a surrealist and therefore plays with unreality: he bladishes it to become a demiurge, and "folding" the shadows as he pleases composes a center able to absorb the attention of the observer and push it to the search for a form that is they chase, overlap, organize and break up into an amused game of appearances.
But appearance is itself substance, it’s a presence of reality; and therefore something, like a breath, to be reckoned with. The shadows of Alexey Bednij have the time to develop anarchically - except to return to an organized picture - to leave time for an ephemeral awareness and then lead us into the stunning territory, the slight confusion, the controlled incoherence that defies the laws of lighting and optical perspective.
A game. A successful game that sanctions the overturning of convictions on the altar of alleged photographic conventions. All that exists casts a shadow and we rush forward into that dark side, reevaluating, if anything was needed, the resulting dark, the "dark twin of light".
Giuseppe Cicozzetti
ph. Alexey Bednij