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SCRIPTPHOTOGRAPHY

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DOUGLAS D. PRINCE

“Ho dei parametri e la mia vita a questo punto è paragonabile ai sedimenti di una vecchia tazza da caffè e vorrei piuttosto morire giovane, preservando ciò che è stato fatto, anziché cancellare confusamente tutte queste cose delicate”. Obbedì al più intransigente tra i suoi “parametri”, a quelle “disordinate geometrie interiori” che le angustiavano l’animo e si gettò da un grattacielo di New York. Era il 1981 e la donna che mise fine alla sua vita a soli 23 anni, lasciando un segno fondamentale nel mondo della fotografia, è Francesca Woodman.

Providence, Rhode Island, 1978. Il fotografo Douglas D. Prince si reca nello studio di Francesca, ne uscirà con un catalogo di ritratti che ha il potere di confonderci. Ancora una volta Francesca Woodman è la solitaria protagonista d’ogni immagine ma a fotografarla è un collega che sebbene sia interessato più alla sperimentazione che non alla fotografia tradizionale – si osservino ad esempio le ricerche visive delle foto sculture – non esita a rendere omaggio né nascondere la sua ammirazione verso una fotografa di cui avvertiva lo spirito sovversivo che avrebbe cambiato il linguaggio di una certa fotografia assai prossima al surrealismo di quanto non si sia disposti a credere. La Woodman restituita dall’obiettivo di Prince ha il respiro domestico, quasi pacificato. In accordo con una vulgata che vorrebbe la fotografa preda dei dèmoni che l’avrebbero condotta al suicidio qui, nel suo studio, costretta a una pausa dalla sua delirante creatività, ci appare pacificata, serena. Eppure in qualche modo inquietante. Nel suo studio tutto parla di lei, non c’è angolo che non sia parte consustanziale della sua essenza, quella che abbiamo imparato ad ammirare nelle sue fotografie e in qui lei stessa pare come momentaneamente distaccata da quell’assorbimento in cui appare nelle foto che ci ha lasciato.

Prince ha un’occasione straordinaria, una possibilità che non vuole perdere: restituire Francesca a una narrazione svincolata dagli stereotipi ma ci rivela, sotto il profilo della composizione – lo vediamo dalle fotografie – quanto egli stesso sia stato indelebilmente penetrato dall’influenza della giovane collega. Bisogna confessare però che Prince ha estratto dalla Woodman il lato più intimo, più autentico e in forza di un approccio complice e misterioso che si stabilisce quando a fotografare un fotografo è un fotografo. Infatti Francesca Woodman si concede al gioco della chiarezza, senza mistero né allusioni, senza rimandi o citazioni simboliche: il suo corpo è un involucro nudo, prestato solo momentaneamente alla nostra comprensione e al successivo rammarico di non saperla più in questo mondo. Mistero. Un mistero tanto più grande quanto la pacata rilassatezza che trasuda dalle immagini, perché qualche anno più tardi un volo le avrebbe portato via la vita e sfigurato il suo bellissimo volto.

La vita di Francesca Woodman è stata breve. Intensa ma breve e noi non possiamo fare altro che rispettarne la scelta al riparo del riserbo. Resta però come un sentore d’amaro, qualcosa che chiusosi troppo in fretta ha impedito a tutti noi di seguire gli sviluppi artistici di una fotografa che ha lasciato sì una grande eredità ma che avremmo voluto beneficiarne molti anni dopo.

 

Giuseppe Cicozzetti

Da “Francesca Woodman-Studio”

 

Foto Douglas D. Prince

 

https://www.douglasprince.com/

 

"I got some parameters and my life at this point is comparable to the sediments of an old cup of coffee and I would rather die young, preserving what has been done, rather than confusing all these delicate things".

So obeyed to the most intransigent of "parameters", to those "disordered interior geometries" that troubled her soul and threw herself from a skyscraper in New York. It was 1981 and the woman who says stop to her life at only 23, leaving a fundamental mark in the world of photography, is Francesca Woodman.

Providence, Rhode Island, 1978. The photographer Douglas D. Prince goes to Francesca's studio, and will come out with a catalog of portraits that has the power to confuse us. Once again Francesca Woodman is the solitary protagonist of every image but to photograph her is a colleague who, although more interested in experimentation than in traditional photography - observe, for example, the visual research of the photo sculptures – doesn’t hesitate to pay homage nor hide the his admiration for a photographer of whom he sensed the subversive spirit that would change the language of a certain photograph very close to surrealism than one is willing to believe.

Woodman returned from Prince's lens has a domestic, almost pacified breath. According to a vulgate that would like the photographer prey of the demons that would have led her to suicide here, in her studio, forced to pause from her delirious creativity, she appears pacified, serene. Yet somehow disturbing. In her study everything speaks of her, there’s no corner that is not a part of her essence, that we have learned to admire in her photographs and in this case she seems momentarily detached from that absorption in which she appears in the photos that she left.

Prince has an extraordinary opportunity, a possibility that he doesn’t want to lose: to give back Francesca to a narrative released from stereotypes but reveals us, from the point of view of composition - we see it in photographs - how much he himself has been indelibly penetrated by the influence of the young colleague . It must be confessed, however, that Prince has extracted from the Woodman the most intimate, authentic side and by virtue of a complex and mysterious approach that is established when a photographer is photographed by a photographer.

In fact, Francesca Woodman allows herself to play clarity, without mystery or allusions, without references or symbolic quotations: her body is a naked envelope, lent only momentarily to our understanding and the subsequent regret of not knowing it anymore in this world. Mystery. A mystery so much bigger than the calm relaxation that exudes from the images, because a few years later a flight would take her life away and disfigured her beautiful face.

Francesca Woodman's life was short. Intense but short and we can not help but respect the choice in the privacy. But it remains like a hint of bitter, something that closed too quickly has prevented us all to follow the artistic developments of a photographer who left a great legacy but that we would have liked to benefit many years later.

 

Giuseppe Cicozzetti

from “Francesca Woodman-Studio”

 

ph. Douglas D. Prince

 

https://www.douglasprince.com/

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